NEL LAGHER
DEGLI ORSI CINESI
Cina, così si
torturano gli orsi nelle "fattorie della bile"
dal nostro inviato PIETRO DEL RE
CHENGDU (Cina sudorientale)
I RUDIMENTALI cateteri di ferro che Jill Robinson preziosamente custodisce in un cassetto
della sua scrivania sono il pegno di una promessa. Jill ne conserva ventotto: sono lunghi
una ventina di centimetri e sigillati in buste di plastica con su scritto la data in cui
ognuno di essi fu estratto chirurgicamente dalla cistifellea di un orso. La sua promessa
risale al '93, quando questa bionda signora nata 42 anni fa a Nottingham entrò per la
prima volta in una "fattoria della bile", dove viene tuttora praticata una forma
di crudeltà che tollera pochi confronti.
Racconta Jill: "All'epoca, lavoravo per un'organizzazione ambientalista e riuscii a
unirmi a un gruppo di commercianti giapponesi invitati da un centro che produceva bile di
orso in Cina meridionale. Durante la visita, mentre i proprietari della
"fattoria" vantavano le virtù del loro prodotto, mi allontanai e mi misi alla
ricerca degli orsi. Poco dopo, scesi in un seminterrato e lì ne trovai una ventina,
rinchiusi in gabbie così strette che sembravano bare".
"AVEVANO il corpo pieno di piaghe e un catetere infilzato nell'addome: alcuni, resi
pazzi dal dolore, sbattevano il cranio contro le gabbie fino a procurarsi orribili ferite;
altri, si erano spaccati i denti mordendo il ferro. Dalle sbarre vidi spuntare una zampa
gigantesca e, inconsapevole dei rischi che correvo, volli toccarla. Allungai la mano,
l'orso me la strinse dolcemente. Allora gli promisi che sarei tornata e che l'avrei
salvato". Quell'orso forse non c'è più, ma grazie alla promessa di Jill, il
calvario di questi magnifici animali non è più un segreto di stato. Non solo: ad alcuni
di essi, ventotto per l'esattezza, è stato rimosso l'infetto catetere col quale, per
anni, gli è stata rubata la bile per fabbricare un antinfiammatorio dell'antica
farmacopea cinese, ma anche, più recentemente, shampoo e bibite in lattina. Per impedire
questo sacrilegio, Jill Robinson ha compiuto miracoli, ottenendo con la sua caparbietà
più degli illuminati governi occidentali e degli agguerriti gruppi animalisti che hanno
sposato la sua causa. "Nel '99 proposi la visita di alcune "fattorie della
bile" agli stessi funzionari cinesi che una decina di anni prima ne avevano
incoraggiato lo sviluppo semi-industriale. Accettarono e rimasero anch'essi inorriditi da
ciò che videro". A tutt'oggi, le autorità di Pechino hanno rilasciato 247 licenze
per l'apertura di altrettante "fattorie", dove vengono torturati 6992 orsi bruni
asiatici, o "moon bears", come li chiamano gli inglesi per via della mezza luna
color miele che hanno sul petto, o ancora, per usare il latino di Linneo, Ursus
selenarctos tibetanus. In natura, sempre secondo i cinesi, ne esisterebbero cinquantamila;
ma secondo le stime del Wwf, allo stato brado ne sopravvivono, sì e no, sedicimila.
L'estate scorsa, dopo innumerevoli campagne di denuncia ed estenuanti trattative con i
politici cinesi, la signora Robinson ha convinto il governo di Pechino a firmare uno
storico accordo: l'associazione da lei fondata, l'Animals Asia foundation, potrà
prelevare cinquecento orsi dai lager nei quali sono rinchiusi e le autorità si sono
impegnate a non rilasciare nuove licenze per aprire altre "fattorie". "È
il primo passo verso la fine di una barbarie che dura da tre millenni e che oggi è del
tutto ingiustificata, perché si possono ottenere gli stessi effetti terapeutici della
bile di orso usando piante medicinali. Ora, la bile costa 300 dollari al chilo, le piante
medicinali soltanto 15". Dei cinquecento esemplari che ora le spettano, Jill ne ha
già riacquistati sessantasette (versando denaro ai proprietari delle famigerate
"fattorie" per aiutarli a trovare fonti di guadagno alternative). I primi orsi
sono arrivati lo scorso ottobre nel centro di riabilitazione appena aperto a Liangzhou,
nelle campagne della provincia del Sichuan, a un'ora di macchina da Chendgu. In questo
grigio edificio, Jill vive con altre due inglesi, bionde come lei: la veterinaria Gail
Cochrane e l'infermiera Beverly Elmer. Gli altri quattrocentottantré orsi dovrebbero
arrivare entro la fine dell'anno, quando verrà ultimata la costruzione di un centro più
capiente, in grado di ospitare l'enorme branco di malconci "moon bears".
Stamattina, a Liangzhou è prevista la rimozione della cannula di ferro infilzata nella
cistifellea dell'orsa Georgina. Per dieci anni, con quel catetere le sono stati munti, due
volte al giorno, almeno cento millilitri di bile. Prima che inizi l'operazione Gail mi
chiede se sono impressionabile: "Sa, è un po' come operare un essere umano,
l'intervento sarà molto cruento. E chissà che cosa troveremo quando aprirò
l'addome". Georgina pesa 130 chili e sul tavolo operatorio, nonostante quell'osceno
catetere che le spunta di un paio di centimetri nel centro di un'ulcera purulenta, questo
gigante addormentato somiglia a un orsacchiotto di peluche. I contadini le hanno strappato
i canini e reciso la prima falange delle dita delle zampe anteriori per evitare che, una
volta tagliate, le ricrescessero le unghie. Quelle delle zampe posteriori hanno invece
perforato la carne dei polpastrelli, perché l'animale è rimasto supino troppo a lungo,
senza poter camminare. L'operazione dura quattro ore. Mentre il bisturi penetra nella
pancia dell'orsa, l'infermiera Beverly ne approfitta per tatuare Georgina e farle la
pulizia dei denti che le rimangano. Gail intanto rimuove i tessuti fibromatosi e gli
ascessi presenti anche sotto i muscoli dell'addome; prima di poter estrarre il catetere,
dovrà asportare un quarto della cistifellea dell'orsa. Dice: "Le è stato inserito
da un veterinario di campagna, o forse dal suo stesso proprietario che aveva assistito
all'impianto di una cannula in un altro animale. Un cane o un gatto sarebbero morti dopo
qualche giorno, ma Georgina è ancora viva dopo dieci anni. Gli orsi, in questo caso per
loro sfortuna, hanno un sistema immunitario e una resistenza senza pari nel regno
animale". Gail è una donna loquace, ma parla malvolentieri dei tre animali morti
recentemente di peritonite, "perché l'infezione era così estesa che aveva provocato
una setticemia". O dell'esemplare al quale ha dovuto offrire una morte
misericordiosa, perché cresciuto tra sbarre troppo anguste che avevano impedito lo
sviluppo della sua gabbia toracica: "non riusciva più a nutrirsi da solo e respirava
a stento; con un groppo in gola, ho dovuto sopprimerlo". Dopo l'intervento, gli orsi
recuperano in fretta. Passata qualche settimana è come se avessero dimenticato i torti
subiti. Nel grande recinto vicino all'infermeria ci sono le grandi, comode gabbie che
ospitano Jasper, Honey, Jay, Osée, Faith, Freedom e altri convalescenti. Alcuni sono
felicemente stravaccati in ampie ceste che fungono da cucce; altri giocano tra loro; altri
ancora scorrazzano e si rotolano sul prato d'erba che circonda il loro recinto. Tra
questi, c'è Andrew, la mascotte del gruppo, il primo ad essere stato operato: "il
più bello e il più buono" secondo le tre inglesi. Andrew è un maschio gigantesco,
pesante 197 chili e monco di una zampa che perse da cucciolo, nel disperato tentativo di
fuggire dalla tagliola che l'avrebbe condannato. Dopo anni di immobilità, gli orsi devono
adesso fare fisioterapia nella speranza di recuperare l'uso degli arti atrofizzati. Molti
di loro sono infatti malfermi sulle zampe, zoppicano, si muovono lentamente, con
goffaggine. In uno stanzone del "Bear rescue center" ci sono purtroppo ancora
orsi nelle gabbie "originali": minuscole prigioni arrugginite chiuse con del fil
di ferro che ricordano strumenti di tortura medioevale. Qui hanno trascorso anche
quindici, vent'anni della loro vita. La parte superiore delle gabbie è mobile: si può
abbassare per schiacciare l'addome dell'orso e facilitare così la mungitura della bile.
Questi poveretti sono gli ultimi arrivati a Liangzhou, e prima di essere liberati devono
aspettare il loro turno. "Abbiamo comunque preferito tirarli fuori dalle
"fattorie"", spiega Jill. "Almeno, in attesa di liberarli, diamo loro
del buon cibo, e cominciamo a somministrargli antibiotici. Ovviamente operiamo una
selezione: quelli che stanno peggio finiscono subito sotto i ferri". Dopo anni di
sofferenze, alcuni hanno sviluppato un comportamento psicotico. Ma intuiscono che l'arrivo
in questo centro per loro prefigura il paradiso. Quando ti avvicini alle vecchie gabbie,
gli orsi cominciano a ringhiare, spinti dal loro animalesco coraggio. Poi, è come se
capissero, e si placano. Se porgi loro un quarto di mela o una prugna secca, avvicinano il
testone alle sbarre e tirano fuori la lingua rosa chiaro per prendere delicatamente quello
che gli porgi, con lo sguardo onesto e implorante di un cane labrador. Costerà caro,
realizzare il sogno di Jill: quattro milioni di dollari (oltre 8 miliardi di lire). Questi
soldi servono a riacquistare gli animali, agli interventi chirurgici, alle spese per la
fisioterapia, al sostentamento di centinaia di orsi e alla costruzione del nuovo
"santuario" che sorgerà a Ziyang, a un centinaio di chilometri da Chengdu. Al
momento, la signora Robinson ha raccolto un milione e mezzo di dollari, grazie al
filantropico dono di un uomo d'affari di Hong Kong, Frank Pong, che ha dato il via
all'operazione versando il grosso di questa cifra. Per far quadrare i conti, Jill ha anche
lanciato una campagna di contributi sul suo sito internet (www.animalsasia.org). Adottare
un orso costa 6500 dollari, liberarne uno 500, regalargli un giocattolo 10, un vasetto di
miele o un grappolo d'uva per addolcire la sua nuova vita soltanto 5. A volte, però, i
dubbi assalgono anche la tenace Jill. Allora, la sua promessa le appare improvvisamente
un'irrealizzabile chimera. Come riuscirà a mantenere i 500 orsi che entro il prossimo
dicembre dovrebbero affidarle? Nessun miracolo potrà annullare gli anni di sofferenze e
nessuna terapia riabilitativa potrà renderli autosufficienti. In altre parole, nessuno di
questi orsi potrà mai essere rimesso in libertà. E dove finiranno gli altri
seimilacinquecento orsi, il giorno che il governo di Pechino deciderà di farla finirla
con le "fattorie della bile"? È costoso occuparsi di un animale sano,
figuriamoci di questi derelitti terrorizzati dall'uomo, che hanno gli arti semiparalizzati
e nel ventre infezioni croniche. Parte della promessa che fece otto anni fa, quando si
trovò di fronte a quell'abominio di umana bestialità, Jill l'ha comunque mantenuta.
"Certo, vorrei che i cinesi chiudessero tutti questi campi di tortura. Ma qualcosa è
stato fatto", dice guardando soddisfatta i cateteri incrostati di grumi verdastri e
ormai sigillati nelle buste di plastica. "Stamattina erano ventotto. Adesso, uno di
più".
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