c Quel gas che scalda il pianeta e divide i leader del mondo - 01/10/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 01/10/2009]
[Categorie: Sostenibilità ]
[Fonte: Repubblica - 01 ottobre 2009]
[Autore: Davide Rampini]
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Quel gas che scalda il pianeta e divide i leader del mondo
Ridurre le emissioni di anidride carbonica è una necessità per salvare l’ambiente ma potrebbe diventare anche il meccanismo che innesca un nuovo modello di sviluppo economico

Dietro quella formula arcana, "tetti alle emissioni carboniche", può nascondersi l’innesco di una nuova rivoluzione industriale. Se le nazioni trovano un accordo sulla lotta al cambiamento climatico, le conseguenze di lungo termine saranno profonde: vivremo in un mondo di automobili elettriche, circondati da centrali nucleari, selve di pale eoliche, e con le case ricoperte da pannelli solari.

Perché è così importante limitare l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera? La risposta non è scontata. La sigla CO2 è stata un simbolo di vita per gran parte della storia del nostro pianeta. Non esisterebbe vita sulla terra, senza l’effetto serra creato proprio dall’anidride carbonica: cattura parte dell’energia solare sotto forma di calore e la trattiene impedendone la fuoriuscita nello spazio. È solo da quando l’attività umana ha alterato l’equilibrio nella creazione di CO2, che il riscaldamento ha smesso di essere benefico, diventando una minaccia per l’umanità.

Per capire la situazione di partenza, un quadro completo è fornito dall’Outlook 2008 dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) di Parigi. Analizzando il ciclo del carbonio calcolato sui dati medi 1995-2004, l’Agenzia arriva alle conclusioni seguenti. Primo, le emissioni carboniche "naturali" (di gran lunga le più importanti) sono in stato di equilibrio: la terra emette e riassorbe di suo quasi 440 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, con un saldo totale pari a zero. Ugualmente fanno gli oceani (circa 330 miliardi di tonnellate di CO2). Secondo, le emissioni causate dall’uomo sono "solo" 34 miliardi di tonnellate all’anno. Di queste, più della metà sono assorbite dalla natura, mentre il resto va ad aumentare la concentrazione atmosferica. È su questo "saldo aggiuntivo" che bisogna intervenire. Sempre secondo l’Aie, i combustibili fossili rappresenteranno ancora l’80 per cento del mix di energia consumata nel mondo nel 2030. L’Aie stima che questa crescita nell’utilizzo globale di energia fossile continuerà a far aumentare le emissioni di CO2 causate dal consumo di energia, fino a un totale di 41 miliardi di tonnellate nel 2030.

Il consenso che si è formato tra gli scienziati, ed è stato adottato dalla conferenza dell’Onu sull’ambiente, indica come obiettivo che le nazioni più sviluppate taglino le loro emissioni carboniche tra il 25 e il 40 per cento, in un arco compreso fra il 2020 e il 2050, prendendo come punto di partenza i livelli di CO2 del 1990. Questo è l’imperativo, per poter contenere il cambiamento climatico entro un massimo di due gradi nell’aumento delle temperature terrestri: un risultato indispensabile per evitare catastrofi come l’innalzamento dei livelli degli oceani, sconvolgimenti nei cicli delle stagioni, delle piogge e dei raccolti, con conseguenze geopolitiche drammatiche. Nuove prove del surriscaldamento in corso sono state pubblicate nei giorni scorsi su Nature: il British Antarctic Survey usa i rilevamenti satellitari della Nasa per confermare l’accelerazione nello scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia; il South Korea Ocean Research Institute calcola l’aumento di frequenza del fenomeno El Nino con l’inasprimento delle perturbazioni meteorologiche associate.

Il Giappone e l’Unione europea sono le aree che si avvicinano di più - almeno negli impegni annunciati - agli obiettivi indicati dall’Onu. L’Europa ha indicato che sarà disponibile ad alzare fino al 30 per cento il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni, se le altre potenze economiche faranno altrettanto. Gli Stati Uniti per ora non sembrano disposti ad arrivare fin lì: la Casa Bianca considera come un obiettivo realistico un taglio del 17 per cento dai livelli attuali di CO2. Cina e India finora hanno sempre rifiutato di farsi vincolare da obiettivi stringenti sui tagli, anche se all’Onu il presidente cinese Hu Jintao ha segnalato una disponibilità nuova alla cooperazione.

Secondo Cecilia Tam, esperta dell’Aie, gli obiettivi fissati per i paesi ricchi «sono una sfida notevole, ma non impossibile». Gli scienziati contestano che il costo economico dell’impresa sia insopportabile. Le loro stime variano dai cento miliardi di dollari ai mille miliardi di dollari aggiuntivi ogni anno, da investire nel risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili. Anche se si sceglie la stima più elevata, il costo rappresenterebbe solo il 2 per cento del Pil mondiale: molto meno dei danni economici del cambiamento climatico. Inoltre il raggiungimento degli obiettivi sui tagli alle emissioni è già oggi un grande business. Nonostante la recessione, gli investimenti dei privati nelle energie pulite sono decuplicati negli ultimi cinque anni, fino a raggiungere 155 miliardi di dollari a fine 2008. Le maggiori opportunità di guadagno si presenteranno in futuro in paesi come la Cina, per gli enormi margini di risparmio energetico che offrono partendo da una situazione più arretrata nell’efficienza energetica. La redditività degli investimenti privati sarà aumentata se gli Stati Uniti adottano, come previsto, un sistema di "cap-and-trade" simile a quello già in vigore in Europa: un mercato dei "permessi di emissioni", che in sostanza assegna un prezzo (negativo) all’anidride carbonica, quindi crea un costo per le imprese che emettono e premia quelle che tagliano CO2. Il nuovo quadro di incentivi e disincentivi ci traghetterà verso un mondo ben diverso da quello attuale. Mentre la corrente elettrica che viene consumata oggi nel mondo è ancora in massima parte generata da tradizionali centrali a carbone, nel 2050 sopravviveranno solo quelle che avranno adottato la tecnologia di "cattura e sequestro" dell’anidride. Mentre le auto a benzina e diesel sono la stragrande maggioranza oggi, il futuro appartiene a ibride, auto elettriche o a idrogeno. Il nucleare conoscerà una seconda giovinezza, in particolare grazie agli imponenti programmi d’investimento in atto in Cina e India. Le pale eoliche saranno parte del paesaggio urbano quanto i ripetitori dei telefonini.

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