c Vendere i campi non aiuta l'Africa - 08/09/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 08/09/2009]
[Categorie: Alimentazione ]
[Fonte: Slow Food]
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Vendere i campi non aiuta l'Africa

Quando si parla di cibo, agricoltura e globalizzazione, una parola ritorna: Africa. Su quel continente si giocano le strategie dei potenti per garantirsi risorse sempre più scarse e preziose. Negli ultimi tempi il cibo è tornato a essere merce ambita, oggetto di affari lucrosi, speculazioni, pressioni politiche. In particolare alcuni paesi ricchi, deficitari nel bilancio alimentare, per continuare a garantirsi l’approvvigionamento di grano, mais e altri alimenti di base, cercano tra i governi africani la disponibilità a vendere la terra, con accordi diretti o attraverso multinazionali. Non si trattano più le derrate, ma direttamente il terreno, fonte perenne di cibo, per mettersi al riparo dalle oscillazioni del mercato. La Fao lo definisce “nuovo colonialismo”.

Prendiamo il Kenya, uno degli Stati africani con un’economia in crescita, nonostante i recenti conflitti etnici: il Governo ha deciso di affittare 40 000 ettari di terreno al Qatar, che com’è noto scarseggia di terra fertile, alla foce del fiume Tana; nonostante un terzo della sua popolazione sia alla fame. In cambio, il ricco Paese del Golfo si è impegnato a finanziare la costruzione di un porto che dovrebbe diventare il secondo snodo commerciale dopo Mombasa. Ma perché si cede la terra invece di favorire gli agricoltori locali e garantire la sicurezza alimentare del Paese? Gli allevatori kenyoti del Presidio del pollo di razza mucunu, nella Rift Valley, hanno le idee chiare: in molti Paesi africani l’agricoltura, spina dorsale dell’economia che impiega più del 60% della forza lavoro, è costituita in prevalenza da coltivatori su piccola scala.

Sono loro soffrire maggiormente le conseguenze delle speculazioni, ma non hanno voce per protestare. Così i Governi perseguono politiche dettate dagli interessi di pochi gruppi economici potenti: «L’Africa dovrebbe concentrarsi nel migliorare le capacità dei piccoli agricoltori» sostiene il loro portavoce John Kariuki, giovane vicepresidente keniota di Slow Food. «Aiutare a migliorare il raccolto, garantire l’accesso al mercato senza la rapina degli intermediari, gestire in modo trasparente gli aiuti internazionali. Solo le piccole comunità rurali possono portare avanti progetti efficienti e diffondere benessere alla base; la terra africana è la nostra ricchezza, lasciatela a noi».

Tratto da Agricoltura - La Stampa, del 07/09/09

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