c Successo e declino della evoluzione umana - 08/09/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 08/09/2009]
[Categorie: Varie ]
[Fonte: Equo.it]
[Autore: MARCELLO BUIATTI]
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Successo e declino della evoluzione umana

Da quando è nata la vita sulla Terra gli esseri viventi sono andati continuamente cambiando adattandosi alle modificazioni dell’ambiente per sopravvivere di generazione in generazione. I dati scientifici più recenti ci dicono però che le strategie di cambiamento sono state e sono diverse nei diversi gruppi di specie e da specie a specie. In particolare i batteri, che hanno una vita molto breve e non hanno bisogno di modificarsi durante le loro vite, si adattano essenzialmente utilizzando i cambiamenti spontanei che avvengono nei loro patrimoni ereditari e cioé per selezione naturale.

Le piante e gli animali invece, hanno cicli di vita molto più lunghi, devono quindi affrontare molte modificazioni del contesto nelle singole vite e per questo hanno sviluppato processi che permettono una grandissima plasticità dovuta non tanto ai cambiamenti nel DNA quanto a modifiche nel suo funzionamento durante la vita in risposta ai segnali che vengono dall’ambiente. Per questo piante ed animali possono produrre un numero altissimo di strumenti per cambiarsi ( le proteine) con relativamente pochi geni da usare ovviamente non tutti insieme ma ognuno in momenti diversi della vita per le diverse esigenze che si possono verificare. Ci sono tuttavia differenze importanti fra piante ed animali in quanto questi ultimi hanno un sistema nervoso che percepisce i cambiamenti esterni e attiva le risposte necessarie. Gli animali infatti si muovono per cercare ambienti adatti e, se pure in modo parziale e stereotipo, modificano il contesto in cui si trovano con i più diversi strumenti. Si parla in questo caso di costruzione di “nicchie ecologiche” ( piccoli ambienti modificati) che ogni specie sviluppa in modo sempre uguale nel tempo e nello spazio

La strategia degli esseri umani è ancora diversa e infinitamente più dinamica. Noi non solo modifichiamo l’ambiente esterno ma invece di ripeterci perennemente ne “inventiamo“ continuamente di nuovi e questo lo possiamo fare perché abbiamo un cervello di potenza impressionante, la cui parte “pensante “ è di almeno 100 miliardi di neuroni capaci di formare un milione di miliardi di connessioni diverse a fronte dei soli 23000 geni del nostro DNA. Siamo quindi capaci, a differenza da tutti gli altri animali, di costruire continuamente ambienti nuovi utilizzando il nostro immenso “archivio di informazioni” contenuto nel cervello e negli altri strumenti che abbiamo pure inventato, dai libri agli strumenti informatici. La nostra nuova strategia si è affermata molto rapidamente per la evoluzione rapidissima di pochi geni di cui alcuni hanno permesso l’aumento di dimensioni della parte “pensante” del cervello e altri una molto maggiore capacità di percepire i segnali esterni e di tradurli poi in modificazioni del cervello stesso che ci permettono di reagire attivamente. Tutto questo è avvenuto inoltre contemporaneamente alla formazione di una particolare area del cervello detta “area di Broca” che ci permette di comunicare con i nostri simili in modo rapidissimo ed efficiente i nostri pensieri che sono la base per la continua evoluzione culturale, infinitamente più rapida ed efficace di quella genetica. E infatti solo poco più dell’uno per cento dei nostri geni sono diversi da quelli dello scimpanzé da cui differiamo essenzialmente proprio per la capacità di archiviare ed elaborare informazione ma soprattutto di comunicarla ai nostri simili con estrema rapidità.

Non a caso esseri umani allevati da animali hanno sempre bassissimi livelli intellettivi proprio perché il nostro cervello, i cui neuroni alla nascita sono collegati in modo quasi casuale, si organizza in seguito essenzialmente in funzione dei segnali che ci vengono dagli altri esseri umani e in particolare dalle persone che stanno con noi nei primi due-quattro anni della nostra vita. La comunicazione in realtà inizia già, e molto intensamente, in utero ed è reciproca fra feto e madre. In particolare e’ veramente straordinario e secondo me di grandissima poesia il passaggio di informazione che avviene durante la gravidanza fra il cervello della madre e quello, in via di formazione, del feto, che cambiano per la loro interazione. E’ probabilmente la coscienza di questo che è alla base della tradizione ebraica a cui appartengo, per la quale è senza dubbio ebreo solo chi ha la mamma di questa origine. Il cervello comunque si modifica continuamente tutta la vita e cessa di modificarsi solo alla fine di questa. Ovviamente i segnali che riceviamo dall’ambiente e dai nostri simili non hanno nessun effetto sulla struttura del DNA ma servono semplicemente ad attivare di volta in volta la formazione di proteine diverse ( ci sono singoli geni che hanno la informazione necessaria per formare oltre 30000 proteine la cui quantità può essere modulata secondo i bisogni).

Da quanto ho detto discende che le nostre caratteristiche comportamentali, a differenza di quanto avviene negli altri animali, cambiano continuamente, sono poco o nulla determinate dai geni ma derivano essenzialmente dalla nostra storia di vita e in particolare dai rapporti con i nostri simili. I dati sperimentali che dimostrano quanto ho detto sono molti ma cito volentieri una ricerca molto recente in cui sono state paragonate le capacità di un bambino di due anni e mezzo con quelle di uno scimpanzé di età equivalente. Ebbene, tutte le capacità erano più meno uguali fra i due “bambini” tolto quella di comunicare con i propri simili che è nettamente più sviluppata nell’umano. Si potrebbe anche dire che gli umani sono tali pienamente solo se comunicano perché attraverso la comunicazione si modificano il cervello e i comportamenti durante la vita in modo adattativo. O ancora che la capacità di adattarci non dipende solo dai cervelli individuali ma dalle interazioni positive fra individui. E’ quindi logico, come studi recenti hanno dimostrato, che la nostra variabilità genetica, non essendo la fonte principale di adattamento, è bassissima e infatti il termine “razza” nel nostro caso non ha alcun senso biologico, mentre abbiamo sviluppato e sviluppiamo innumerevoli culture che sono poi i diversi risultati delle nostre evoluzioni. Homo sapiens, molto di più degli altri animali, si è cioè staccato dai processi evolutivi basati sul cambiamento dei geni e sulla selezione naturale e si evolve invece sul piano comportamentale modificando il Pianeta in modo continuamente innovativo. Naturalmente l’evoluzione classica, basata sui geni, continua seppure molto lentamente, ma l’umanità di Homo sapiens va cambiando costantemente e molto più rapidamente con i comportamenti a prescindere in gran parte notevole dalle basi genetiche. Vediamo allora a cosa ha portato la nostra evoluzione culturale da quando la nostra specie si è affermata.

All’inizio gli esseri umani si spostavano ancora continuamente come altri animali anche se avevano già cominciato costruire attrezzi utili per la caccia, la pesca e la raccolta di cibo e scoperto il fuoco. Il primo vero cambiamento nei nostri comportamenti rispetto a quelli animali è tuttavia la nascita dell’arte e cioè la capacità di elaborare e modificare nelle nostre menti le immagini del mondo esterno proiettando poi sulla materia non una copia fedele dell’oggetto ma elaborazioni innovative e soggettive di questo. Il processo mentale usato è in fondo lo stesso che porta alla costruzione e produzione di oggetti utili anch’essi derivati dalla “materializzazione” di costruzioni mentali.

Molto presto tuttavia, ( probabilmente verso centomila anni fa) gli umani hanno iniziato anche a costruire oggetti validi solo esteticamente ma di nessuna utilità pratica come dimostrano ritrovamenti recenti di monili in sepolture umane di oltre 80000 anni fa inaugurando un processo di astrazione dalla realtà materiale che continua fino ad oggi e ci ha permesso, nel bene e nel male, di modificare il mondo secondo i nostri progetti in modo del tutto innovativo. Un “salto” culturale di grande importanza da questo punto di vista è avvenuto poco meno di diecimila anni fa , quando ci siamo fermati ed abbiamo “inventato“ l’agricoltura aprendo con questo processo la “umanizzazione” di interi ecosistemi naturali e però anche l’inizio di una vera e propria utopia di onnipotenza sfociata poi nelle rivoluzioni industriali e nella fase che chiamo delle “ottimizzazione”. In altre parole gli esseri umani si sono inorgogliti delle loro capacità e hanno pensato di essere capaci di trasformare il Mondo rendendolo “ottimale” per le proprie esigenze senza che questo processo abbia alcun effetto negativo “di ritorno” sulle nostre vite per le possibili interazioni fra le nostre opere e l’ambiente esterno . Il concetto di ottimizzazione è infatti proprio della industria di ogni tipo che mira a modificare i propri prodotti con la speranza esplicita di giungere alla diffusione in tutto il Pianeta di un unico prodotto ottimo a prescindere dalle condizioni ambientali in cui viene usato. Da qui la perdita della coscienza del limite e la prima fase di un pericoloso distacco dal Mondo in cui viviamo come se fosse irrilevante per le nostre sorti tipico dell’epoca moderna. Non a caso parallelamente alla nascita della agricoltura e delle attività basate sulla trasformazione del Mondo è stata inventata la moneta , come metafora del prodotto da scambiare e sua raffigurazione anche se all’inizio si produceva moneta solo per facilitare gli scambi di materia.

Naturalmente l’ottimo è uno solo per cui ottimizzare ha significato fin dall’inizio omogeneizzare e distruggere la variabilità prima degli animali, della piante, dei microrganismi ma poi anche delle culture ( la mia cultura è ottima , quella degli altri è cattiva) mentre la stanzialità delle popolazioni ha contribuito alla differenziazione delle etnie, alla definizione dei confini delle nazioni e quindi alle guerre per la conquista delle terre e delle risorse. E’ quindi andata cambiando in particolare nella fase industriale la scala di valori primigenia della nostra specie ed è stato messo al primo posto non il bene essere ( lo stare bene), lo scambio di informazioni con i nostri simili che ci rende felice, il piacere di aiutare ed essere aiutati, ma il produrre, il vincere la competizione ed il possesso della materia, e l’obiettivo non è stato più l’adattamento ma la “macchinizzazione” progressiva del Pianeta in quanto tale.

Gli stessi esseri viventi sono stati sempre più assimilati a macchine ( computer nella versione più moderna) dotate di un unico programma modificabile da parte degli esseri umani e quindi oggetti e non soggetti, passibili di essere trasformati a volontà e magari venduti. Il concetto stesso di ottimizzazione ha portato ad attribuire scale di valori inesistenti a etnie, culture, modi di vivere, individuati come “diversi” dall’ottimo e quindi da combattere e se possibile isolare e distruggere. Le società si sono avviate di conseguenza verso un processo di progressiva frammentazione e la comunicazione fra esseri umani è andata riducendosi apportando dolore e rendendo meno efficiente anche la capacità di scambio di informazione e pensieri che , come si è visto, è alla base della nostra capacità adattativa. In sintesi non si è andati verso un ritorno alla animalità ma al contrario ci si è incamminati verso un percorso alienante che tendeva sempre più a prescindere dalla natura anche materiale di noi esseri umani, degli altri esseri viventi, degli ecosistemi, della biosfera. E infatti siamo andati dimenticandoci della nascita, della vita e della morte, dei bisogni reali materiali e spirituali , dell’importanza della comunicazione con gli altri esseri umani e del pensiero individuale e collettivo, in altre parole di quelle caratteristiche che hanno permesso alla nostra specie di adattarsi e diventare la specie che più di tutte le altre si è affermata su tutto il Pianeta. Nei fatti le cose non sono andate come si pensava.

La corsa competitiva alla “ottimizzazione” ed alla sempre più intensa copertura del Pianeta con prodotti umani ha creato, soprattutto negli ultimi due secoli molti problemi. In particolare nelle agricolture che usano gli esseri viventi per la produzione, la loro perdita della variabilità alla ricerca dell’ottimo omogeneo a prescindere dagli ambienti ha reso necessario l’uso di additivi artificiali che supplissero alla scarsa capacità di adattamento di piante ed animali e questo ha distrutto la variabilità del suolo, aumentato i costi di produzione e reso impossibile la sopravvivenza delle agricolture povere. Il crearsi di oligopoli produttori degli additivi e proprietari degli stessi semi e le regole del mercato internazionale hanno aumentato il dislivello fra poveri e ricchi e determinato conflitti diffusi, portando alla fame quasi un miliardo di persone mentre le risorse naturali venivano distrutte e si infrangeva il sogno positivista della crescita continua della economia e della occupazione del Pianeta. Infine, la assenza del senso del limite in tutte le operazioni umane ha modificato e sta modificando pericolosamente il clima del Pianeta con una rapidità mai vista che va accelerandosi in modo imprevedibile.

Nonostante tutto questo Homo sapiens assomiglia sempre di più ad uno strizzo che crede solo alle sue utopie e rifiuta di occuparsi della realtà modificando come faceva una volta i comportamenti individuali e collettivi. La utopia positivista fallita nella realtà è ancora saldamente in piedi e con essa il mito della crescita continua della produzione e della ricchezza. D’altra parte, come si è visto, la trasformazione della materia viva e non viva in prodotti vendibili ha effettivamente dei limiti e non solo in agricoltura perché le risorse viventi e non viventi del Pianeta non sono infinite. Purtroppo le società umane stanno rispondendo a questa pesante contraddizione rifugiandosi in un ulteriore livello di alienazione. Sta nascendo rapidamente una società umana che si è scordata perfino della funzione della “umanizzazione” del Pianeta che è stata all’inizio quella dell’adattamento della nostra specie attraverso la modificazione positiva e “consensuale” dell’ambiente. Già durante le rivoluzioni industriali si è cominciato a produrre per produrre e non per aumentare il benessere ma almeno allora si trasformava materia in prodotti teoricamente utili perché l’obiettivo era la trasformazione.

Il danaro, ancora nella prima parte del ventesimo secolo era essenzialmente un mezzo per acquistare prodotti utili per migliorare le condizioni di vita. Ora invece sta avvenendo una pericolosa “mutazione” ulteriore nella nostra evoluzione culturale che comporta un passo in avanti nella nostra perdita di contatto con la realtà non solo del Mondo ma di noi stessi. Il termine stesso “benessere” che significava “bene essere” diventa, almeno per le società ricche che governano il Pianeta, possesso di denaro e non di risorse e di materia trasformata da utilizzare per una vita buona. Prova ne sia che l’indice di benessere è il cosiddetto PIL che non misura la felicità individuale e collettiva ma la quantità di moneta circolante.

Lo stesso concetto di ricchezza è cambiato e adesso con questo termine si intende essenzialmente possesso di danaro con il quale acquistare altro denaro. Tanto è vero che si calcola che il flusso mondiale di denaro derivante dallo scambio di merci materiali è solo alcuni punti percentuali di quello totale, mentre gran parte degli scambi sono di moneta on-line. E infatti i veri ricchi del mondo che lo governano più delle istituzioni sono ormai possessori di soldi e non di materia comprata con questi. Questo processo sta provocando una pesante crisi per la incontrollabilità della economia virtuale che si riflette su un ulteriore abbassamento del tenore di vita delle popolazioni più povere e provoca una diminuzione netta di quella che noi chiamiamo felicità. Una serie di studi recenti sulla felicità soggettiva hanno infatti dimostrato che l’aumento di ricchezza oltre un certo livello provoca una riduzione di felicità e se ne sono anche scoperte con chiarezza le cause come spiega il Prof. Bartolini della Università di Siena in un volume di prossima pubblicazione. L’aumento di guadagno monetario infatti aumenta necessariamente l’orario di lavoro giornaliero e questo impedisce la vita sociale e in genere le interazioni con altri che sono invece secondo molti sondaggi la prima fonte di felicità sopra il livello minimo di sussistenza.

Chi lavora è ormai preso dal vortice e cerca di rimediare comprando sostitutivi della interazione reale con gli altri e con la natura ( cellulari, computer, DVD e una serie di altri prodotti) che impediscono il colloquio diretto non solo con le parole ma con i gesti , le espressioni, il contatto fisico, tutti i nostri sensi. Si entra quindi in un circolo vizioso per cui bisogna aumentare il reddito individuale e stare meno con le altre persone per comprare “persone virtuali” che le sostituiscano. E’ questo il motore che spinge, provocando ancora infelicità, a starsene in casa da soli cercando senza sosta amici virtuali al computer e perdendo così i sorrisi e i pianti, le carezze e gli altri contatti fisici che ci hanno permesso durante tutta la storia umana di usare al massimo il dono del nostro cervello e di condurre una vita reale e non artificiale, buona, con i nostri simili. E infatti aumenta il numero dei suicidi nel Mondo e lo stesso suicidio acquista addirittura un valore morale positivo per il numero sempre crescente dei kamikaze che si uccidono per uccidere altri esseri umani come loro.

Il denaro non è quindi più un mezzo per stare meglio ma anzi la corsa ad averne di più fa sì che ci sia chi gioisce e sfrutta i disastri come alluvioni , terremoti ecc. perché mobilizzeranno denaro per la ricostruzione, o commercia in droga che uccide ma dà una “felicità” fittizia che procura dipendenza e quindi ulteriore mobilizzazione di denaro, o, ancora, spinge donne e uomini alla prostituzione e quindi alla distruzione della propria umanità e contemporaneamente del proprio corpo. Tutto questo non è davvero, lo dico con fermezza, un ritorno alla animalità ma è anzi un allontanamento dalla nostra natura fisica e spirituale insieme verso un comportamento che negli animali è veramente rarissimo se si fa la eccezione dei Lemmings che ad un certo punto possono suicidarsi in massa se condotti da uno di loro che ne prende la testa. Più o meno quello che sta succedendo a noi se non invertiamo la tendenza. Tutto questo non deve infatti far perdere la speranza perché nonostante che non ci crediamo più siamo ancora umani e un numero crescente di noi sta cominciando a resistere in tutto il Mondo , sempre più cosciente del dolore umano individuale e collettivo e pone le basi per un nostro possibile ritorno alla vita, quella vera in ambedue le sue componenti, quella materiale e quella spirituale caratteristica della nostra specie.

Fanno parte di questa umanità i movimenti per la pace per l’ambiente, tante persone singole e associate che si dedicano, spesso correndo pericolo di morte a cercare di tessere di nuovo il colloquio fra gli esseri umani e fra questi e il resto della vita sulla terra che è condizione necessarie e sufficiente per incamminarci di nuovo nel nostro percorso, unico sul nostro Pianeta e per lungo tempo pieno di sconfitte ma anche di vittorie verso la vita buona e contro la distruzione e la sofferenza. In questo è necessario che si riaffermino non le rigide ideologie ma le idealità , laiche e religiose che possono e devono giocare un importantissimo ruolo e lo svolgeranno però solo se dicono finalmente con chiarezza che “il Re è nudo” e cioè avvertono gli umani dei pericoli tremendi che derivano dal percorso che si stanno costruendo, pericoli che stanno già portando la nostra specie alla estinzione della propria umanità che è preludio inevitabile alla distruzione fisica.

Nella tradizione ebraica e non soltanto sono di grande importanza i profeti che sono da soli riusciti a cambiare il cammino della umanità. Io non credo nei profeti singoli che all’epoca attuale si trasformano facilmente in comandanti ma credo invece ancora nelle donne e negli uomini di buona volontà che riavvicinino gli umani alla vita vera come è, apprezzabile e bella in sé anche nel dolore e nella sofferenza, ricca di variabilità, di pensieri, di materia viva, di comunicazione con gli altri, di sorrisi e di lacrime, di nascite e di morti. Se ritorneremo a guardare in noi stessi e ad accettare apprezzare la nostra materia e la nostra spiritualità potremo ancora invertire la rotta e tornare ai valori veri che non sono quelli della competizione per il nulla, degli oggetti che “dobbiamo” comprare, dell’accumulo di moneta, del potere per il potere che sono caduchi e diminuiscono la nostra “felicità percepita” come è mirabilmente scritto nel passo delle scritture che secondo me, laico, più inneggia alla vita il Qohelet ( Ecclesiaste).

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