c "Per fermarli puntiamo sull'economia verde, cosi' si crea occupazione e si salva il territorio" - 02/06/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 02/06/2009]
[Categorie: Politica ]
[Fonte: Corriere della Sera - 30 maggio 2009]
[Autore: Gabriela Jacomella]
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"Per fermarli puntiamo sull'economia verde, cosi' si crea occupazione e si salva il territorio"

Il riconoscimento di uno status giuridico agli eco-rifugiati? "Puo' funzionare, ma solo se fosse parte di una ristrutturazione piu' ampia della politica. Potrebbe persuadere i nostri governi a investire i fondi che ora se ne vanno in armi e navi, per il controllo di coste e confini, nel rendere piu' verdi le economnie dei Paesi di origine dei nigranti".
Saskia Sassen, sociologa ed economista, Lynd Professor alla Columbia University di New York e membro del suo Comitato sul Pensiero Globale, e' tra i nomi di spicco intervenuti a terra Futura. Con i suoi studi - tra cui i recentissimi "Una sociologa della globalizzazione" (Einaudi) e "Territorio, autorita', diritti" (Bruno Mondadori) - e' da anni una delle voci piu' autorevoli nel dibattito su immigrazioni e processi transnazionali. Ieri, a Firenze, ha proprosto la sua via d'uscita alla crisi: una green economy, che "promuovendo soluzioni all'insegna della sostenibilita' ambinetale" sia in grado di "creare occupazione e coesione sociale".

D.: Economia verde, mutamenti climatici, eco-emigranti. Ritiene plausibile la stima del dossier di Legambiente, 6 milioni di persone in fuga dai disastri ambientali nell'immediato futuro?
R.: "Be', questo dipendera' in parte da come affronteremo collettivamente le sfide piu' impellenti. Abbiamo ormai oltrepassto la soglia di distruzione, per cui ulteriori desertificazioni o alluvioni renderanno automaticamente inabitabili altre fasce di territorio. Non c'e' dubbio, avremo quantita' significative di eco-rifugiati; quanti saranno, e; legato a fattori multipli. Anche i Paesi ricchi sperimenteranno inondazioni e siccita' estreme, perche' applicato ovunque - nel primo come nel terzo mondo - gli stessi modelli di sviluppo distruttivi sotto un profilo ambientale. E nel caso delle eco-migrazioni internazionali, si aggiunge un altro problema: le nostre politiche migratorie".

D.: Lei ha una posizione assai critica nei confronti della "militarizzazione dei confini"; nel Mediterraneo, pero' l'emergenza e' molto sentita. E in Italia questo ha spinto il governo a chiedere all'Europa una maggiore condivisione del problema.
R.: "Non c'e' dubbio, l'emergenza che stiamo vivendo richiede di essere affrontata; e non c'e' alcuna ragione per cui i Paesi che si trovano lungo il perimetro UE, spesso meno ricchi degli altri, debbano accollarsene tutto il peso. Ma sul lungo periodo, e' tutta lastrategia attuale che va cambiata. Due sono i suoi principali difetti: primo, non vogliamo riconoscere che spesso noi stessi abbiamo creato le spinte (come i mutamenti climatici, di cui siamo i principali responsabili) e costruito i ponti che portano i migranti verso i Paesi ricchi. Poi il controllo, incluso quello militare degli ingressi, non puo' funzionare in prospetiva; gli unici vincitori sono industria delle armi e trafficanti, tutti gli altri perdono. Il caso americano e' illuminante: il budget, soprattutto per il controllo dei confini, e' passato da 200 milioni di dollari annui nel 1993 a 1,8 miliardi. Nello stesso periodo i clandestini sono raddoppiati, da 5-6 a 12 milioni. La percentuale di arresti e' la piu' bassa degli ultimi 40 anni, e il costo per ogni fermo e' salito da 400 a 1.700 dollari..."

D.: L'economia verse potrebbe essere una strategia alternativa?
R.: "Sviluppare le economie tradizionali, che tengono unite le cominita', e i sistemi educativi e sanitari, non eliminerebbe le migrazioni ma farebbe un'enorme differenza. Se aggiungiamo la questione ambinetale, il fulcro sono i posti di lavoro: invece di spendere miliardi in armi e incrociatori, potremo investirli in forme di sviluppo ad alto tasso di impiego e in grado di "guarire", dal punto di vista ecologico, i Paesi di origine degli eco-profughi. Forse questi flussi potenziali dovuti agli eco-disastri spingeranno finalmente i nostri leader a lavorare insieme su strategie centrate sullo sviluppo, la riforestazione, il recupero della terra".

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