c Il WWF presenta le Linee Guida per un Piano Energetico Nazionale - 18/03/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 18/03/2009]
[Categorie: Ecologia ]
[Fonte: wwf.it]
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Il WWF presenta le Linee Guida per un Piano Energetico Nazionale
Riorientare il sistema produttivo liberandosi dalla dipendenza dei combustibili fossili e riducendo drasticamente le emissioni di CO2. E' la base delle linee guida presentate oggi dal WWF

Tagliare entro il 2030 il 50% dei consumi energetici e degli approvvigionamenti da fonti fossili, triplicare la produzione complessiva di energia da fonti rinnovabili entro il 2030. E' questa la ricetta per un futuro energetico sostenibile dell'Italia, un futuro più efficiente sottoscritta oggi dal WWF nel corso di una conferenza tenuta dai massimi esperti italiani in campo ambientale ed energetico. Riorientare il sistema produttivo liberandosi dalla dipendenza dei combustibili fossili e riducendo drasticamente le emissioni di CO2 (mitigazione) e ricostruire il benessere dei sistemi naturali per l’adattamento ai cambiamenti climatici sono i due imperativi che il nostro Governo deve seguire se vuole dare all’Italia un vero futuro energetico, trasformando i rischi legati alla crisi climatica globale in importanti opportunità per il nostro Paese, sia dal punto di vista ambientale che economico e sociale.

Il dossier “Cambiamenti climatici, ambiente ed energia: linee guida per una strategia nazionale di mitigazione e adattamento” (versione in Pdf) è stato presentato oggi a Roma anche in coincidenza con le chiusura della Conferenza Internazionale sul clima che si è tenuta in questi giorni a Copenhagen, contiene le analisi e lo proposte dei massimi esperti italiani in campo ambientale ed energetico che fanno parte del Comitato Scientifico del WWF. Il dossier è stato presentato da Vincenzo Balzani, professore di Chimica all'Università di Bologna, Sergio Castellari del Centro EuroMediterraneo per i Cambiamenti Climatici di Bologna e Focal Point IPCC Italia, Marino Gatto, Professore di Ecologia già presidente Società Italiana di Ecologia (Dipartimento di Elettronica e Informazione – Politecnico di Milano), Sergio Ulgiati, Professore di analisi del ciclo di vita Dipartimento Scienze per l’Ambiente (Università Parthenope Napoli). La voce degli esperti indica al Governo la “retta via” per costruire una strategia energetica per l’Italia, una strada concreta e percorribile fin da subito.

“Nell’anno in cui il mondo si appresta ad approvare un nuovo patto globale per il clima, è più che mai urgente che il Governo doti il Paese di un Piano nazionale per l’energia e di un Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici che sono già in atto” – ha dichiarato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Non è la voce degli ambientalisti ma quella dei massimi esperti ad indicare la strada per uscire dalla crisi energetica e climatica”.

Primo imperativo: mitigare, ovvero ridurre drasticamente le emissioni dei gas climalteranti rinnovando uno scenario energetico attuale ormai del tutto privo di prospettive. Il dato globale parla chiaro: per alimentare l’economia mondiale fino al 2050 mantenendo i parametri attuali (con i combustibili fossili che coprono l’80,9% dell’energia primaria utilizzata) servono combustibili fossili per 856.000 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), ma il mondo, tra carbone, petrolio, gas naturale e uranio, ne ha appena 800.000. Il che significa che continuando lo scenario di crescita dei consumi degli ultimi 30 anni, prima del 2050 tutte le risorse energetiche non rinnovabili attualmente accertate saranno esaurite. Allo stesso tempo la comunità scientifica internazionale, attraverso l’ultimo rapporto dell’IPCC, ha prescritto che per contenere entro livelli gestibili il cambiamento climatico in atto, le emissioni globali devono essere ridotte di almeno l’80% entro il 2050, ma secondo il WWF questo obiettivo non potrà essere raggiunto senza una riduzione di almeno il 30% entro il 2020. Inoltre, i dati presentati dalla comunità scientifica dopo il IV rapporto IPCC dimostrano che i fenomeni di cambiamento climatico già in atto stanno accelerando tanto da avvicinarsi a ‘soglie critiche’ la cui gestione potrebbe diventare impossibile. Sul pianeta esistono almeno 15 tipping elements, ovvero, punti critici del sistema climatico terrestre per cui l’attività umana potrebbe portare ad una soglia critica: la formazione di ghiaccio marino artico, la calotta continentale della Groenlandia, la calotta continentale dell’Antartico occidentale, il cosiddetto El Nino, la circolazione termoalina dell’Atlantico, i monsoni estivi indiano, quello occidentale Sahara/saheliano, la foresta tropicale amazzonica e quella boreale, la tundra, il permafrost (lo strato ghiacciato …., gli idrati di metano nel mare, la perdita di ossigeno negli oceani e l’ozono artico.

L’Italia basa le proprie forniture di energia quasi esclusivamente su fonti fossili, ma non dispone di grandi risorse energetiche non rinnovabili. Proseguendo su questa strada, i consumi energetici cresceranno e, tranne che per una modesta quota di rinnovabili, continueranno a basarsi su fonti importate che, per il progressivo esaurimento e il costante aumento della domanda, saranno sempre più costose. Al contrario siamo particolarmente avvantaggiati quanto a fonti rinnovabili, che sono invece sempre più economiche: abbiamo un buon potenziale idroelettrico, foreste e produttività agricola che garantirebbero biomasse di scarto, e siamo tra i Paesi europei più soleggiati. Di qui la ricetta del WWF per l’Italia: - 50% dei consumi, -50% delle fonti fossili, fonti rinnovabili più che triplicate entro il 2030 (con investimento iniziale ampiamente ricompensato dalla convenienza a medio termine), per uno scenario complessivo in cui il fabbisogno energetico nazionale sia assicurato al 50% da fonti rinnovabili e combustibili fossili. Lo scenario è un vero e proprio ‘tricolore’ per il futuro energetico dell’Italia in cui appare evidente la necessità di aumentare il verde per le rinnovabili e il bianco per l’efficienza da sviluppare a fianco di una riduzione del rosso delle fonti convenzionali (vedi figura nella scheda allegata).

Sistemi naturali in buona salute = salute dell’uomo e dell’economia
Gli scienziati concordano tutti sul fatto che il benessere dei sistemi naturali sia la base fondamentale per il benessere e l’economia. E' dunque necessario lavorare anche sull'adattamento ai cambiamenti climatici in atto. Il 90% dei disastri naturali che si sono verificati in Europa dal 1980 sono attribuibili a eventi meteorologici o climatici. L’Europa ha speso per questi eventi circa 15 miliardi di euro l’anno. Mentre la Commissione Europea sta ormai finalizzando un White Paper per la strategia sull’adattamento in Italia il tema è ancora agli albori a parte un primo passo affrontato nel 2007 all’interno della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti climatici che prò non ha avuto seguiti operativi nella successiva finanziaria. Sono soprattutto la velocità del cambiamento climatico e l’acuirsi degli eventi estremi in atto gli elementi ai quali adattare i nostri sistemi naturali. Il primo fondamentale passo è il monitoraggio degli ambienti più delicati, a partire dalle foreste per poi intervenire sui sistemi agricoli, sugli ecosistemi marini e su quelli di acqua dolce. Urgente poi avviare la ‘grande opera pubblica’ di ‘ripristino’ o restauro del territorio capace di riconnettere tutti i sistemi naturali per renderli meno fragili e vulnerabili ai cambiamenti climatici. Purtroppo oggi si continuano a proporre infrastrutture considerando poco i conseguenti effetti sui sistemi naturali.

Ricomporre gli ecosistemi come un puzzle di ambienti naturali fino ad oggi sempre più sconnesso che consenta agli animali e piante di ‘migrare’ in risposta ai cambiamenti e di catturare il carbonio tramite il ripristino delle foreste e delle zone umide. L’Italia deve dunque concentrare gli sforzi nel ‘tastare il polso’ a questi ambienti, e annotare i sintomi più rilevanti dei fenomeni di reazione ai cambiamenti climatici. Per le foreste si tratta di estendere quei programmi esistenti su scala nazionale tra cui la rete LTER-Italia e Conecofor e la rete nazionale Carboitaly. Per le aree agricole l’Italia dovrebbe ‘rottamare’ le pratiche agricole che non aiutano a conservare l’umidità del suolo e che sprecano le risorse di acqua dolce. Incentivi invece alle produzioni (cultivar) capaci di adattarsi più velocemente agli stress del cambiamento climatico (es: sostituire le colture di mais con quelle di sorgo) e ‘arredare’ il paesaggio agricolo di filari frangivento, colture intercalari che aiutino a migliorare l’efficienza dell’uso dell’acqua.

Il riscaldamento del Mediterraneo ha già comportato cambiamenti in termini di biodiversità: specie migrate a nord, ingresso di specie esotiche legate anche ai fenomeni di bloom tossici di alghe, , etc. 2-3 gradi C° come aumento anomalo e prolungato delle temperature estive hanno indotto nei fondali una mortalità massiva su 28 specie di invertebrati, principalmente quelle cosiddette bentoniche (spugne, gorgonie). Il Mediterraneo profondo si sta riscaldamento più velocemente degli altri mari ed il fenomeno più preoccupante è forse l’alterazione dello scambio di nutrienti che avviene tra masse d’acqua profonde e superficiali. La perdita di biodiversità che ne deriva è preoccupante dato che gli oceani forniscono globalmente il 16% di proteine utilizzate in alimentazione umana e ‘rendono’ il 63% del valore finanziario dei servizi forniti dagli ecosistemi. Creare un network di aree marine protette, estendere la protezione dei sistemi costieri a quelli profondi del Mediterraneo (es. i coralli di profondità), sostenere pratiche di pesca sostenibile. Infine, intervenire sui sistemi di acqua dolce, a rischio perenne di esondazioni calamitose e con livelli scadenti di qualità delle acque e prelievi esorbitanti di risorsa idrica per usi spesso sconsiderati. Sicurezza idraulica e rinaturalizzazione non sono in conflitto. Investire risorse, ad esempio, per ricostruire gli spazi naturali di esondazione dei fiumi, o conservare quei tratti naturali ancora integri sono solo alcune delle azioni proposte dal Comitato che sottolinea l’urgenza di gestire i nostri fiumi come ‘sistemi più complessi’, ovvero, su scala di bacino idrografico. Il caso del Po è esemplare: le prolungate siccità le modificazioni delle precipitazioni e dei tassi di evaporazione, l’erosione delle risorse idriche, l’intensificazione della piena catastrofica che si stanno verificando sono da ricondursi, secondo studi recenti, all’elevata artificializzazione del nostro fiume più importante.

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