c Il terremoto imprevisto e la protezione civile - 30/05/2012 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 30/05/2012]
[Categorie: Scienza; ]
[Fonte: E-Emergency]
[Autore: Bruno Giorgini]
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Il terremoto imprevisto e la protezione civile

Nella pianura padana un terremoto come quello in corso è un evento raro. Più precisamente siamo di fronte a una sequenza di terremoti con epicentri diffusi su un’area vasta che sta tra Mantova, Ferrara e Modena per un fronte di oltre 30 (trenta) chilometri , e di alta intensità, il 29 maggio in 8 (otto) ore sono state tre le scosse tra i 5-6 gradi della scala Richter, nonchè almeno 70 (settanta) tra i 3-4 gradi. Per non dire delle oltre 800 scosse registrate dal 20 maggio. Per di più gli epicentri sono piuttosto superficiali, tra 1 (uno) e 10 (dieci) chilometri di profondità, il che rende particolarmente distruttivo in superficie l’evento (detto in modo grossolano, l’onda di choc, cioè l’energia rilasciata, non fa in tempo a scaricarsi lungo il percorso fino alla superficie, dove arriva ancora bella carica). Per trovare una attività sismica di magnetudine comparabile in quella zona bisogna tornare indietro nel tempo di 4 (quattro) secoli e mezzo quasi, fino al 1570, da Ferrara e dintorni ai confini con Modena. Secondo le cronache del tempo questo sciame sismico, probabilmente con magnitudini non dissimili da quelle rilevate oggi, durò per circa 4 (quattro) anni, cessando poi per ricomparire l’altro giorno. A Reggio Emilia invece il terremoto più significativo del passato data del 1832, qui siamo soltanto a poco meno di due secoli fa. Quindi molto più vicino a noi ci sono stati quelli del gennaio 2012 attorno ai 5 (cinque) gradi della scala Richter, nell’Appenino tra Parma e Reggio con gli epicentri ben dentro la terra, rispettivamente a 30 (trenta) e 60 (sessanta) km di profondità, e uno sciame sismico molto meno inquietante di quello in azione questa volta. Questa lunga quiete ha fatto sì che ormai il terremoto fosse per le genti di quelle terre un evento altamente improbabile, vuoi impossibile almeno in queste proporzioni, e lo stesso per gli studiosi e tecnici del settore, infatti nella carta del rischio sismico l’area è indicata a medio basso rischio. Allora la domanda che si pongono un po’ tutti, dai semplici cittadini ai ricercatori, è come mai la terra abbia ripreso a sgroppare con tanta furia. C’è stata, c’è una causa scatenante? Non sono un esperto di terremoti, leggo della placca adriatica che si starebbe spostando. Gli scienziati, geologi, geofisici, esperti della teoria delle fratture, andranno a vedere in fino, sperando che trovino risposte convincenti. Un paio di cose però si possono ragionevolmente argomentare. La prima è che una tale miriade di epicentri sembra indicare almeno più d’una frattura di faglia. Insomma forse è in atto la sovrapposizione di più terremoti, di più sequenze dinamiche di rottura. La seconda è che gli sciami, inframezzati da forti scosse, non si esauriranno tanto presto. La storia sarà lunga, molti mesi certamente, forse qualche anno, e bisognerà abituarsi nella pianura padana che credevamo così solida e stabile, a vivere col terremoto. Il che non è solo questione di buona volontà, solidarietà e operosità, virtù encomiabili, ma di scienza, di tecnica, di educazione pratica, di azione psicologica, in una parola di protezione civile, diffusa in ogni paese, in ogni città, in ogni scuola, in ogni luogo di lavoro. E di cui ogni cittadino sia protagonista. Quel che aspetta le genti emiliane non è solo una ricostruzione delle case, delle strade, dei paesi devastati, nonché l’elaborazione del lutto per i morti, ma una nuova consapevolezza e quindi azione, dalle istituzioni fino a tutti i cittadini, per mettere in atto una efficace capillare protezione civile, per suscitare e organizzare una cultura della protezione civile, che diventi anche scienza e tecnica della protezione civile. Infine una ipotesi, può darsi azzardata o priva di fondamento: non è forse che l’impoverimento delle falde acquifere nonché delle riserve sotterranee di gas che viene prelevato a man bassa da decenni, ha contribuito in qualche modo alla forza distruttiva dell’evento? Certamente la diminuzione del volume di liquido sotterraneo produce fenomeni di subsidenza (la terra che s’abbassa), ma inoltre il liquido costituisce una sorta di lubrificante dei movimenti tettonici e attutisce l’impatto, un po’ come se cadessimo dal quarto piano, e sotto ci fosse invece di una ampia e profonda piscina, una lastra di cemento: è chiaro che l’urto sarebbe nel secondo caso ben altrimenti distruttivo per il nostro corpo. In questo caso per il territorio investito dal sisma.

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