c Gli ostacoli cognitivi ai cambiamenti climatici - 28/09/2011 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 28/09/2011]
[Categorie: Scienza ]
[Fonte: Climalteranti]
[Autore: Francesca Pongiglione]
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Gli ostacoli cognitivi ai cambiamenti climatici
Perché si fatica a comprendere il problema dei cambiamenti climatici – e ancora di più a reagire?

Il problema dei cambiamenti climatici si è rivelato negli anni particolarmente difficile da affrontare per molteplici fattori. I tentativi di risoluzione attraverso trattati internazionali sulle emissioni sono risultati finora inefficaci, e non sono riusciti ad arrivare all’individuo, ad abbattere i dubbi, a realizzare un cambiamento comportamentale. L’urgenza di porre rimedio a una situazione che si avvia a essere irreparabile si scontra con una diffusa inerzia da parte delle persone, che parzialmente deriva dall’idea che il problema debba essere risolto “dall’alto”: l’azione individuale viene percepita come inutile e inefficace.

Tuttavia, i dati della International Energy Agency mostrano che le emissioni pro-capite legati ai consumi residenziali hanno un peso notevole nel bilancio complessivo della produzione di CO2, cosa di recente messa in risalto anche da un Background Paper del 2010 World Development Report della World Bank. L’azione individuale ha quindi un’enorme potenzialità nel modificare il drammatico scenario climatico, una potenzialità che non va persa.

In questo contesto si rende necessaria un’indagine che riesca a sbrogliare alcuni nodi del comportamento umano che rendono difficile la realizzazione del cambiamento che la questione climatica impone. In molti casi si è mostrato fallimentare il proposito di modificare il comportamento degli individui considerandoli dei meri ricettori di stimoli, tentando cioè di dirigerne le azioni attraverso meccanismi che ne riducono il processo decisionale a un modello stimolo-risposta - attraverso, ad esempio, l’uso di strumenti quali incentivi e sanzioni, come conferma una recente indagine dell’Eurobarometer.

Cercare nelle azioni delle persone una consequenzialità razionale significa fraintendere alcuni aspetti fondamentali dell’agire umano, che è per definizione difficile da prevedere e non segue sempre una concatenazione di ragionamenti facilmente rintracciabile. La componente irrazionale di ogni individuo più e più volte prende il sopravvento, sviandolo sia dalla mera decisione razionale in una logica di analisi costi-benefici, che da quella che parrebbe una decisione sensata in termini di risposta a un’informazione, percezione del rischio, interesse personale.

Si dimostra quindi fondamentale cercare di risalire agli snodi del processo decisionale in cui si inseriscono determinati fattori problematici che fanno perdere di vista agli esseri umani non solo ciò che rappresenta un bene per l’ambiente naturale, ma anche per loro stessi in quanto creature che in tale ambiente vivono.

Sembra che le persone non percepiscano il peso delle loro azioni, e non ne comprendano le conseguenze che ricadono sull’ambiente: gli individui si smarriscono, in qualche modo, nella serie di concatenazioni causali che portano al riscaldamento globale, e che da esso conducono a disastri ambientali di varia entità.

Una prima spiegazione di questa mancata comprensione può essere ricondotta alla complessità della relazione causali all’interno delle dinamiche climatiche, che emerge affrontando la spiegazione scientifica (anche se semplificata) del problema.

Indagini recenti, sia dell’Eurobarometer che dello Yale Project on Climate Change Communication hanno mostrato che le persone manifestano una certa confusione circa le cause del cambiamento climatico. Osservando il diagramma, si nota che cause ed effetti non hanno una relazione lineare e intuitiva, e a questo si aggiunge che la precisa entità delle conseguenze (soprattutto quelle che dovrebbero riguardare l’uomo più da vicino) è ancora difficile da prevedere e soggetta a dibattito scientifico (vedasi l’IPCC 2007 ): questo rende sia la mera percezione del problema che la sua comunicabilità alquanto critiche.

Un altro punto problematico riguarda la distanza temporale che intercorre tra la causa e il verificarsi dell’effetto: l’impatto sull’ambiente di determinati comportamenti avviene in un lasso di tempo così dilatato che il legame causa-effetto si assottiglia progressivamente, sino a non essere più visibile. Per percepire il collegamento tra azioni e conseguenze, queste devono essere il più possibile vicine tra loro nel tempo, poiché laddove tendano a distanziarsi troppo, ogni azione, buona o nociva, pare priva di conseguenze. Il che ha un effetto sempre negativo: chi agisce bene non ne vede mai “i frutti”, chi agisce male non ne subisce le conseguenze. Questa riflessione conduce al terzo problema riconducibile alle relazioni di causalità all’interno dei cambiamenti climatici: la causa e l’effetto si trovano su due dimensioni diverse, ovvero, da una parte c’è il soggetto che agisce a livello personale, mentre gli effetti delle sue azioni, oltre a essere lontani nel tempo, concorrono su una dimensione globale, non riguardano cioè lui in prima persona. Questo problema entra in conflitto in modo specifico con il fatto che i costi dei tagli alle emissioni (o più generalmente, ogni forma di cambiamento comportamentale in favore dell’ambiente) sono sostenuti dal singolo agente (che sia un individuo o un’industria), mentre gli eventuali effetti benefici verranno goduti da tutti: ciò fa sì che l’agire egoistico di fatto sia conveniente e si traduca in un guadagno. Questa non è altro che una delle varie declinazioni nel problema relativo all’uso dei “commons”, messo in luce già nel 1968 da Garrett Hardin.

Comprendere i meccanismi interni al soggetto che ne ostacolano la reazione comportamentale è una tappa obbligata se si vuole realizzare un cambiamento, soprattutto dopo aver constatato che da parte degli individui c’è ancora una certa resistenza a modificare le proprie abitudini.

Inoltre, un’analisi di questo tipo può dare indicazioni utili alla comunicazione scientifica, per capire su quali punti è necessario insistere e far luce: primo fra tutti, rendere chiaro all’individuo il suo ruolo di agente causale nel problema dei cambiamenti climatici. Sebbene non sufficiente, la comprensione di un problema costituisce senz’altro un buon primo passo nella direzione della sua prevenzione.

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Testo di Francesca Pongiglione

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