c Sudare? Meglio nel cotone bio - 30/08/2011 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
Home Capitolo
APRE CAPITOLO RASSEGNA STAMPA
RASSEGNA STAMPA
Invia questa notizia ai tuoi conoscenti
Home Sito
APRE IL SITO DI PROGETTO GAIA
[Data: 30/08/2011]
[Categorie: Ecologia ]
[Fonte: Greenews.it]
[Autore: Andrea Gandiglio]
Social network:                e decine d'altri attraverso addthis.com Tutti gli altri con: addthis.com 

Spazio autogestito Google


Sudare? Meglio nel cotone bio

Si scrive 100% puro cotone, si legge tessuto che può contenere sostanze tossiche e pericolose. Pesticidi e fertilizzanti non arrivano infatti nel nostro organismo solo attraverso il cibo e l’acqua, o perché li respiriamo, ma anche con i vestiti e le lenzuola. Persino dalla fibra che ci sembra più naturale: il cotone, appunto. Per questo, dagli anni Ottanta è in costante crescita l’interesse per il cotone organico, ottenuto da agricoltura biologica, senza l’utilizzo di sostanze chimiche, con sementi non Ogm, e trattato e colorato con prodotti naturali e non pericolosi per la pelle.

Il cotone è ancora oggi la fibra tessile più utilizzata sul pianeta, nel 47% dei casi: secondo Altromercato, che cita dati dell’istituto di ricerche Cropnosis, «sul cotone, che occupa il 3% della produzione agricola mondiale, si utilizzano il 19% del totale degli insetticidi e il 9% di tutti i pesticidi». Un impatto ambientale significativo, che si traduce in diminuzione della fertilità della terra, inquinamento delle falde acquifere, riduzione della biodiversità, danni alla salute dei coltivatori e di chi indosserà quelle fibre una volta trasformate in jeans, magliette e lenzuola.

Come spiega il Pesticide Action Network, una volta raccolto e trasformato in tessuto, il cotone viene sbiancato, lavato con detergenti, tinto (molti coloranti contengono metalli pesanti e sostanze chimiche che non si sciolgono in acqua ed essendo liposolubili vengono assorbite dalla pelle), brillantato e, per essere ben presentato al consumatore, trattato con sostanze come la formaldeide, l’ammoniaca, le resine plastiche. A causa dei coloranti utilizzati, il cotone convenzionale tenderebbe anche a trattenere il calore, non permettendo una corretta respirazione e favorendo l’insorgenza di dermatiti e allergie.

La coltivazione organica di cotone, come avviene in generale in tutta l’agricoltura biologica, prevede il bando dei prodotti chimici di sintesi e degli organismi geneticamente modificati. Regole comunemente osservate nelle piantagioni di cotone bio sono l’utilizzo di fertilizzanti di origine animale e vegetale, l’eliminazione dei parassiti tramite l’uso di insetti antagonisti, la rimozione delle erbe infestanti tramite trattori, zappe o a mano, senza erbicidi, e l’uso esclusivo di semenze che abbiano subito almeno quattro germinazioni in assenza di trattamenti chimici. Il cotone biologico è sempre garantito da un organismo di certificazione, così come avviene per gli alimenti.

La coltivazione del cotone organico è cominciata negli anni Ottanta, quando l’impatto ambientale e sulla salute di grandi estensioni di cotone è apparso sempre più evidente. Oggi, rappresenta ancora una percentuale esigua sul totale della produzione: qualcuno parla dello 0,1% su 25 milioni di tonnellate. Ma il fenomeno è in aumento e genera tante storie di successo, come quella dei texani La Rhea Pepper e Terry, che, stanchi dei pesticidi, all’inizio degli anni Novanta hanno iniziato a pensare a un metodo di coltivazione meno inquinante in grado di non mettere in crisi l’economia della propria azienda. Nel 1993, sono stati tra i fondatori della Cooperativa Texana per il Cotone Biologico (Tocmc), a cui oggi aderiscono una trentina di aziende agricole, con circa 5.000 ettari coltivati a cotone biologico o in fase di conversione. Primo sbocco della fibra è stata la produzione, con la Organic Essentials Inc., fondata nel 1996, di tamponi, batuffoli, dischetti cosmetici e assorbenti in cotone biologico, raggiungendo in pochi anni un fatturato di un milione di dollari.

Secondo l’Organic Cotton Farm and Fiber Report 2009 di Organic Exchange, solo nel biennio 2007-2008 il numero di coltivatori di cotone biologico è aumentato del 152%. Durante il 2008 le certificazioni di cotone biologico sono cresciute del 95% e su 161.000 ettari di terreno in 22 Paesi, 145.000 tonnellate di produzione sono state di cotone biologico.

La richiesta è in continuo aumento. Da alcuni anni, anche i grandi marchi, da Nike a Zara, hanno lanciato linee di abbigliamento in fibra naturale biologica. E non sono mancati, purtroppo, anche i casi di greenwashing. L’ultimo è stato lo scandalo che ha travolto la Conscious Collection primavera-estate 2010 targata H&M: in almeno il 30% dei casi, quei capi che dovevano essere di puro cotone organico si sono rivelati di cotone Ogm.

In Italia, la diffusione del cotone bio, spiega Altromercato, «è avvenuta soprattutto negli ultimi tre anni, ma sta aumentando la consapevolezza verso questo tipo di consumo alternativo». Le cui materie prime arrivano sempre più spesso, oltre che dall’Asia, anche dall’Africa, dove il cotone rappresenta una «coltura da valuta». Molti Paesi del continente, infatti, «si affidano all’esportazione di questo prodotto per rimettere in sesto bilance dei pagamenti con l’estero disastrate». In altri casi, come quello del Mali, la coltivazione del cotone bio può addirittura diventare l’occasione per il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini: qui, l’organizzazione Helvetas ha messo in piedi un progetto che coinvolge oltre 4.000 coltivatori di cotone. Una buona pratica che potrebbe rivelarsi contagiosa.

PARTECIPA ALLA CAMPAGNA "IO FACCIO LA MIA PARTE"

 

Per il nostro Emporio... clicca!CLICCA PER IL NOSTRO EMPORIO

 

Spazio autogestito Google