c Bisogna ripartire dai contadini - 07/05/2008 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 07/05/2008]
[Categorie: Sostenibilità ]
[Fonte: Carta – 2/8 maggio 2008 n. 16]
[Autore: Salvatore Ceccarelli di E.M.]
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Crisi alimentare

Bisogna ripartire dai contadini

“Ricordo ancora le parole sentito da un contadino eritreo dieci anni fa: 'Dovevamo aspettare un italiano per avere la scienza che ci avete tolto cinquant'anni fa?' Questa, secondo me, è ancora la domanda cruciale”.
Salvatore Ceccarelli vive ad Aleppo e lavora con International Center of Agricolture Research in the Dry Areas (Icarda, Centro internazionale per la ricerca agricola nelle aree secche). I suoi progetti di miglioramento genetico partecipativo puntano a rispondere alla domanda di quel contadini eritreo e a restituire ai contadini la “scienza”, che è diventata un'esclusiva delle multinazionali, spesso protetta da brevetto. Ceccarelli sarà ospite al congresso nazionale dell'Aiab, dal 15 al 17 maggio a Venezia.
D.: Che nesso c'è tra la crisi alimentare mondiale e il controllo dei semi?
R.: Il nesso è molto stretto perché il mercato agricolo mondiale modellato dalle multinazionali richiede e impone colture simili, poche varietà, indipendentemente dalle condizioni locali di produzione. Per due ragioni: la prima è che in questo modo le multinazionali possono vendere tutto il “pacchetto tecnologico” legato ad una determinata produzione. cioè i semi, i concimi, gli antiparassitari e tutto il resto. la seconda ragione è che in questo modo sui mercati finanziari globali dove si scambiano i futures legati ai prodotti agricoli, si possono trattare quantità di prodotti omogenei. lo stesso riso, dall'Indonesia all'etiopia, agli stati Uniti. E' un percorso molto rischioso.
Ti faccio un esempio: l'ug99. E' una ruggine dello stelo del frumento comparsa in Uganda nel 1999. nel 2007 è stata avvistata in Iran, dopo essere passata in etiopia, Eritrea, Yemen. di questo passo, tra un anno o due arriverà all'India. Vuol dire che i grani seminati a climi e latitudini differenti sono geneticamente uguali, cioè meno adattabili, meno resistenti. in caso di malattie o di condizioni climatiche eccezionali, non c'è salvezza, muoiono tutte.
D.: da dove viene questa vulnerabilità?
R.: Per migliaia di anni gli esseri umani hanno selezionato specie vegetali per adattarle alle condizioni di ogni comunità rurale. poi, negli ultimi cento anni soprattutto, la ricerca si è spostata nei laboratori, lontano dai campi. Infine, è stata privatizzata. il risultato è che la selezione delle piante per l'alimentazione umana o animale è fatta per massimizzare i profitti e le rese. Ma per poter usare lo stesso tipo di riso o di frumento, in Uganda o in Iran, occorre che il terreno diventi simile, ecco quindi il corollario inevitabile di chimica che trasforma i suoli. oltre che un danno incalcolabile per la biodiversità agricola, è un comportamento irrazionale: se tu investissi in azioni, non compreresti mai azioni solo di un tipo, ma faresti un pacchetto bilanciato, con titoli di “specie” diverse.
In agricolture questo, oggi, non avviene. Soprattutto nel Nord del mondo, dove i prodotti sono ancora più standardizzati per essere “presentabili” sugli scaffali dei supermercati.
D.: Come se ne esce?
R.: Bisogna pensare che soprattutto nelle aree climatiche difficili o molto povere, il raccolto è tutto. Penso agli Ahmed, ai Mohammed con cui lavoro ogni giorno. Penso anche a quello che ho visto in Pakistan: ogni fattoria che produceva frumento per l'esportazione aveva anche un piccolo campo per il consumo domestico, perché con il grano globale il chapati, il pane locale, non veniva bene. chi decide cosa si deve produrre e come? Per i contadini, la varietà è tutto. Non solo per i contadini del sud, ma anche per quelli del nord, che altrimenti si trovano sottomessi alle catene di distribuzione alimentare e alle multinazionali, che decidono tutto, dal prezzo al tipo di cibo. Sull'agricoltura mondiale ci sono tre battaglie in corso, intrecciate tra loro. la prima riguarda il peso della finanza, la seconda quello dei trasporti e quindi dell'accesso ai mercati, la terza, infine, la definizione di scienza. per restituire ai contadini la possibilità di decidere che cosa produrre e come produrlo, occorre riconoscere che il loro sapere, la loro scienza, è determinante per la quantità e la qualità del cibo di tutti.

Vedi anche:
www.alimentazionesostenibile.org
www.iofacciolamiaparte.org

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