c Inverni rigidi e riscaldamento globale: dall’ABC allo stato dell’arte - 27/01/2011 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 27/01/2011]
[Categorie: Documenti;Scienza ]
[Fonte: Climalteranti]
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Inverni rigidi e riscaldamento globale: dall’ABC allo stato dell’arte
Ogni inverno si ripropone la domanda di rito: “Ma il forte freddo di questo inverno non significa che il riscaldamento globale si è esaurito?” Più volte in passato abbiamo evidenziato la differenza tra meteorologia e climatologia - vedasi ad esempio qui o qui e la recente analisi climatica globale del 2010 - ma dato che ogni qualvolta che in Italia si verifichi qualche nevicata significativa preceduta o seguita in diverse zone del paese da alcuni giorni di ghiaccio i media non perdono occasione per equivocare i due concetti (o per lanciarsi in previsioni di imminenti glaciazioni), ribadiamo ancora una volta le principali caratteristiche delle due discipline.
A seguire alcuni concetti basilari sulla circolazione generale dell’atmosfera e infine, alla vigilia di una nuova irruzione di aria di matrice siberiana sull’Italia, torniamo sullo stato dell’arte in merito alla possibile correlazione tra le recenti irruzioni gelide in Europa dell’ultimo biennio e il riscaldamento globale in atto, come ci eravamo impegnati a fare in un post precedente.

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Tempo e clima sono cose diverse, signora mia…

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La climatologia si occupa di analizzare il tempo meteorologico medio su scale temporali di almeno 30 anni e le condizioni climatiche di determinati luoghi e periodi vengono definite in termini di proprietà statistiche, ad esempio il valore medio della temperatura atmosferica in una regione in un secolo passato. Quindi un cambiamento climatico può essere definito come una variazione statisticamente significativa dello stato medio del clima o della sua variabilità, persistente per un periodo esteso (tipicamente decenni o più).

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La meteorologia si occupa del tempo atmosferico e le previsioni meteorologiche si riferiscono a scale temporali brevi. Ogni giorno su internet, sui quotidiani e su numerosi canali televisivi dedicati possiamo vedere “dall’alto” le evoluzioni dei sistemi nuvolosi, “fotografate” dai satelliti meteorologici, elaborate e previste dai servizi europei o da diversi enti nazionali e regionali con determinate le conseguenze in termini di tempo atmosferico nelle nostre città e regioni: vengono riportate previsioni di un buon livello di affidabilità mediamente entro le successive 72 ore, tendenze sull’arco di una settimana od oltre.

L’origine della circolazione atmosferica terrestre è associabile alla non uniforme distribuzione dell’energia solare nel sistema terra-atmosfera: in particolare le stagioni sono determinate dalla pendenza dell’asse di rotazione terrestre rispetto al piano di rivoluzione intorno al Sole. La circolazione atmosferica generale delle masse d’aria nella troposfera è regolata prevalentemente dalle celle convettive con cui questa si auto-organizza: nell’ipotesi teorica di una equiripartizione sui due emisferi dell’apporto energetico solare la disposizione delle celle di convezione atmosferica risulterebbe simmetrica, come rappresentata in Figura 1.

Figura 1 Schema generale di circolazione atmosferica. A causa del più alto rapporto insolazione/superficie, dalla zona equatoriale si solleva aria calda leggera e umida che, giunta in alta quota, per la bassa temperatura lascia ricadere abbondanti piogge. La dilatazione e il sollevamento dell’aria calda provoca un regime di basse pressioni che risucchia aria dai bordi della fascia tropicale con la formazione dei venti superficiali detti Alisei. In quota il ciclo si chiude con trasferimento di aria fredda e secca lontano dall’Equatore e questa aria ridiscende creando un regime di alta pressione a cavallo dei Tropici (23.5 °N e 23.5 °S). Queste due celle intertropicali vengono dette di Hadley. La discesa di aria densa ai margini dei Tropici innesca due altre celle di convezione, a Nord e a Sud, dette di Ferrel, caratterizzate da venti superficiali, diretti in direzione opposta agli Alisei, e venti in quota che convergono verso i Tropici, con risalita di aria umida ma già fredda verso l’alta quota: non si hanno usualmente forti precipitazioni ma si instaura un regime di basse pressioni ai limiti dei circoli polari artico e antartico con migrazione di aria molto fredda dai due Poli.

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Nella realtà l’energia solare si ripartisce in maniera disomogenea sulla Terra e ciò, unito a molti altri fattori tra cui anche l’orografia del territorio (es. importanti catene montuose), causa l’instabilità e la vorticosità delle grandi masse d’aria che si manifesta in vere e proprie ondulazioni (onde di Rossby) delle correnti in quota, sedi di zone anticicloniche o di alta pressione e zone cicloniche o di bassa pressione. Per riuscire a interpretare in maniera rapida e sintetica le diverse configurazioni bariche generali che la circolazione atmosferica può assumere sono stati creati diversi indici meteo-climatici anche detti “teleconnettivi”: uno dei più importanti indici descrittivi della circolazione atmosferica dell’emisfero settentrionale è l’indice NAO (North Atlantic Oscillation). L’indice NAO è calcolabile a partire dalla differenza di valori medi di pressione al livello del mare tra la Depressione d’Islanda e l’Anticiclone delle Azzorre, centrati in pieno Atlantico sui due margini della cella di Ferrel dell’emisfero settentrionale: quando, durante l’inverno dell’emisfero settentrionale, la differenza di pressione è piccola (indice NAO negativo) alle medie latitudini si può verificare una minor prevalenza dei venti delle correnti occidentali rispetto a quelle fredde polari e continentali, con l’inversione del normale moto zonale delle masse d’aria da ovest verso est (dunque un passaggio al movimento da est verso ovest) sull’Europa (Figura 2).

Figura 2 A sinistra rappresentazione schematica della circolazione atmosferica generale nell’emisfero settentrionale (con le 3 macrocelle convettive “di profilo”), a destra rappresentazione grafica delle conseguenze sulla circolazione atmosferica di un indice NAO positivo con correnti miti occidentali alle medie latitudini (a sn) e negativo con correnti fredde continentali (a ds).

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Semplificando, quando in inverno si verificano questi movimenti anti-zonali in Italia si possono verificare due situazioni:

- una prevalenza di correnti provenienti da Est o NordEst che, attraverso la Russia e l’Europa Centro-orientale, investono l’Adriatico con venti gelidi e significative precipitazioni nevose sul versante appenninico orientale;

- quando l’indice NAO diventa molto negativo in regime di anti-zonalità (come è accaduto negli ultimi due anni) il movimento est-ovest delle masse d’aria può avvenire lungo una direttrice di latitudine più alta coinvolgendo prima l’Europa Nordoccidentale (Inghilterra, Francia) transitando a Nord delle Alpi ed entrando nel Mediterraneo dalla Valle del Rodano, riprendendo il suo cammino da ovest verso est e interessando infine con precipitazioni nevose e gelo parte del Nord, la Liguria, la Toscana ed eventualmente altre località dell’area tirrenica centro-meridionale.

In corrispondenza di un indice NAO negativo, gli stessi fenomeni si possono verificare anche sulle coste atlantiche del Nord America, ove possono risultare anche più severi in quanto aree non protette da barriere montuose verso Nord al contrario dell’Italia, protetta dalle Alpi dalle irruzioni polari settentrionali.

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Le ondate gelide degli ultimi inverni e le cause che le provocano

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Ma come si spiega che si verifichino ondate di aria gelida mentre è in atto un riscaldamento globale del pianeta? In realtà gli eventi meteorologici anche estremi non sono riconducibili in maniera semplice alle evoluzioni del clima, caratterizzate da una dinamica caotica non lineare e con un insieme di cause, effetti e retroazioni molto complessi.
In questi ultimi anni gli episodi di gelo e neve hanno colpito molto di più l’immaginazione popolare e giornalistica rispetto ai grandi caldi, ma le statistiche riassuntive annuali e stagionali di temperature e precipitazioni (difficilmente percepibili “a pelle”), pubblicate dall’ISAC-CNR, ci indicano che il riscaldamento globale stia avendo conseguenze, eccome, anche in Italia!! Statistiche analoghe vengono riportate dall’agenzia NCEP/NCAR americana per le condizioni meteorologiche globali.

Diversi recenti articoli scientifici hanno comunque cercato di correlare il contesto climatico con il recente verificarsi di eventi freddi significativi durante gli inverni eurasiatici e nordamericani associati a configurazioni bariche assimilabili ad un indice NAO negativo. Il compendio tecnico più completo, anche se non di semplice lettura, è rappresentato dal post di Rasmus Benestad su Realclimate di cui abbiamo svolto e riportato la traduzione in italiano. Questo post riporta le tesi del climatologo norvegese Overland e le confronta criticamente con altre di recente pubblicazione come quelle di Petoukhov e Semionov (qui disponibile l’articolo) e quello di Cohen e altri (qui disponibile l’articolo).

D’altra parte con l’incremento del riscaldamento globale si è verificato un succedersi di stagioni estive polari caratterizzate da una fusione crescente della massa glaciale artica con l’apertura dei mitici passaggi a Nord-Ovest e a Nord-Est. Progressivamente si ha quindi un maggior apporto di energia solare alle acque marine artiche, non più riflesso per l’albedo dei ghiacci galleggianti.
Molto in sintesi, unendo le conclusioni dei due studi, possiamo azzardare questa ipotesi semplificativa: aria molto calda e forti alte pressioni estive sull’oceano artico libero da ghiacci si traducono in un maggior concentrazione di umidità assoluta trattenuta dall’atmosfera. Con il raffreddamento autunnale e delle prime settimane invernali sull’Eurasia settentrionale e il Nordamerica questo eccesso di vapor d’acqua, rispetto alle stagioni precedenti, si somma a quello di origine atlantica e condensa sotto forma di maggiori precipitazioni nevose. L’estensione superiore alla media della copertura nevosa eurasiatica nel periodo autunnale induce la formazione di anticicloni termici siberiani, favorevoli allo spostamento verso l’Europa di masse d’aria gelida. Durante l’inverno, la formazione di una figura anticiclonica anomala nei mari di Barents e Kara (formazione dovuta all’assenza di ghiaccio marino artico) negli ultimi due anni avrebbe indirizzato le masse d’aria gelida verso l’Europa centro-occidentale, favorite da un contesto barico anti-zonale.
In merito si veda anche la recente pubblicazione del NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Administration) che riporta altri 15 riferimenti, alcuni molto recenti.

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Testo di Guido Barone e Simone Casadei, con contributi di Sylvie Coyaud, Stefano Caserini, Luca Lombroso, Valentino Piana

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