c Un inverno freddo in un mondo che si sta scaldando - 13/01/2011 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 13/01/2011]
[Categorie: Scienza ]
[Fonte: Climalteranti]
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Un inverno freddo in un mondo che si sta scaldando
Traduciamo un post di Realclimate.org, in cui, il fisico Rasmus Benestad dell’Istituto meteorologico norvegese illustra i risultati di alcune recenti pubblicazioni in merito ad eventuali correlazioni tra gli effetti del riscaldamento globale e le irruzioni di correnti gelide verificatesi nell’inverno passato e in quello in corso, in Europa e in altre aree dell’emisfero settentrionale. Un tema di grande interesse, su cui torneremo.

Durante la conferenza dell’Anno Polare Internazionale, nel giugno scorso, James Overland ha suggerito che dovremo attenderci inverni più rigidi e nevosi. L’eccezionale inverno freddo e nevoso occorso in Europa nel 2009 – 2010 potrebbe avere una connessione con la perdita di ghiaccio marino nell’Artico. Gli inverni freddi sarebbero associati ad un persistente “evento di blocco” in grado di trasportare aria fredda sull’Europa da Nord e da Est.
Il freddo inverno che ha interessato l’Europa Settentrionale lo scorso anno è stato anche associato ad una situazione estrema connessa con l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), che ha registrato il secondo valore più basso dell’indice NAO corrispondente (vedasi figura sotto).

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Lo scorso inverno ho sentito molto freddo, confesso, ma non così tanto una volta inserito in una prospettiva storica più lunga. Questo perché ricordo gli inverni più recenti più vividamente rispetto a quelli della mia infanzia, ritenuti veramente rigidi secondo gli standard attuali. Ma queste evocazioni possono essere molto soggettive, e misure più oggettive mostrano che nel lungo periodo gli inverni in Europa sono generalmente diventati più caldi, come spiegato nel blog tedesco “Wissenlogs”. Senza la tendenza al riscaldamento, sull’Europa un valore dell’indice NAO basso come quello dello scorso inverno sarebbe normalmente associato a condizioni persino più fredde rispetto a quelle osservate.

Indice NAO per il periodo Dicembre – Marzo, l’inverno 2009-2010 è stato associato al secondo valore più basso registrato di questo indice.

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In un comunicato stampa più recente, Vladimir Petoukhov e Vladimir Semenov hanno sostenuto che il riscaldamento globale potrebbe far diminuire le temperature invernali in Europa, e una ridotta estensione del ghiaccio marino potrebbe aumentare la possibilità di inverni freddi. Inoltre, questi potrebbero essere associati alla circolazione atmosferica (vedi figura seguente). E’ quanto riportano in un articolo del Journal of Geophysical Research (JGR), uscito per una coincidenza durante l’ondata di freddo sull’Europa: il manoscritto originale inviato per la pubblicazione nel novembre 2009 (prima della dichiarazione fatta da James Overland) era stato accettato nel maggio 2010. L’articolo si potrebbe considerare una “previsione” più che una “spiegazione”.

Illustrazione schematica degli effetti considerati. Per gentile concessione del PIK.

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Sebbene i risultati di Petoukhov e Semenov sembrino plausibili, le loro implicazioni per l’inverno in corso non sono così chiare come appaiono a prima vista. Per prima cosa, è impossibile dimostrare che un singolo evento sia dovuto a un cambiamento nel lungo periodo (ovvero il riscaldamento globale, NdT), come abbiamo già sottolineato per il caso degli uragani (per i quali, tra l’altro, la stagione 2010 è stata molto attiva).

Credo che sia importante tenere a mente che lo studio di Petoukhov e Semenov si basa su un modello atmosferico globale che ha simulato una risposta non lineare alla perdita di ghiaccio marino nei mari di Barents e Kara: inizialmente inverni caldi, seguiti da freddi, e poi ancora inverni caldi, in risposta alla riduzione graduale dell’estensione del ghiaccio marino.

Analisi rielaborata NCEP/NCAR: anomalia della temperatura superficiale, media di riferimento 1961-1990.

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Un quesito interessante è in che modo il ghiaccio nei mari di Barents e di Kara influenzi le temperature invernali sui continenti nell’emisfero settentrionale. Una volta rimosso il ghiaccio marino, l’atmosfera sovrastante subisce un riscaldamento più intenso da parte dell’oceano sottostante, che dà origine ad una anomalia positiva nelle temperature sui mari di Barents e Kara. Il riscaldamento locale determina incrementi nei profili di temperatura (gradienti termici) sia lungo la verticale che in orizzontale.

I cambiamenti nei profili di temperatura, a loro volta, modificano la circolazione atmosferica, inducendo lo sviluppo di una struttura locale (anticiclonica NdT) di “blocco” quando l’estensione del ghiaccio marino si riduce dall’80% al 40%. Ma Petoukhov e Semenov hanno anche trovato una risposta differente quando l’estensione del ghiaccio marino si riduce dal 100% all’80%, o dal 40% all’1%, rivelando dunque una risposta non lineare. L’aspetto più intrigante di questo studio è il carattere mutevole della risposta atmosferica alla riduzione del ghiaccio marino: da una configurazione locale di circolazione ciclonica ad anticiclonica, e infine di nuovo ciclonica. Tali configurazioni cicloniche e anticicloniche mostrano una certa similarità con le fasi positive e negative della NAO.

Gli autori mostrano anche una risposta differente nella temperatura superficiale dell’aria (SAT) durante il periodo dicembre-gennaio-febbraio. Dalla loro Figura 2, non è affatto ovvio che una riduzione del ghiaccio marino conduca ad una SAT più bassa in gennaio. Tuttavia i dati sono in linea con un’analisi simile (benché focalizzata sulla stagione estiva) che avevo fatto con dei colleghi, anche noi abbiamo faticato per trovare una relazione coerente.

Ma Petoukhov e Semenov supportano teoricamente le loro osservazioni, e ipotizzano che la risposta non lineare possa essere spiegata in termini di meccanismi “convettivo-dissipativi” e “baroclino-dissipativi”. Il primo riguarda il riscaldamento delle regioni in cui si verifica la scomparsa del ghiaccio marino, e i cambiamenti dei gradienti termici verticali, della stabilità e quindi della dissipazione, mentre il secondo coinvolge un cambiamento nella forza di attrito superficiale associata a variazioni di temperatura nello spazio orizzontale.

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Credo che la comunità scientifica avrà bisogno di un certo tempo per verificare questo legame, e vi sono alcuni aspetti critici: in primo luogo, la risoluzione spaziale del modello (ovvero, la dimensione delle maglie della griglia attraverso la quale i modelli rappresentano il mondo) ha una influenza sulla capacità dei modelli di rappresentare la frequenza degli eventi di “blocco”. Hazeleger et al. hanno osservato che “…risoluzioni orizzontali differenti… confermano la dipendenza dalla risoluzione, riscontrata nelle previsioni del tempo [Numerical Weather Prediction]”. Il modello atmosferico utilizzato da Petoukhov e Semenov ha una risoluzione spaziale piuttosto bassa (2,8 x 2,8 gradi), ed è legittimo chiedersi se essa sia in grado di riprodurre le frequenze degli eventi di blocco in modo realistico, e se questo abbia un peso sulle conclusioni.

Ma anche il fatto che le temperature superficiali marine (SST) siano mantenute costanti nel tempo in queste simulazioni può avere un’influenza significativa sui risultati. Balmaseda et al. hanno mostrato che la risposta dell’atmosfera a cambiamenti nelle condizioni del ghiaccio marino potrebbe dipendere dalla particolare distribuzione delle SST, per lo meno nella stagione estiva. Hanno anche confrontato i risultati di un modello accoppiato oceano-atmosfera con quelli di un modello atmosferico per il quale le SST erano costanti. Inaspettatamente, la risposta atmosferica nei due casi risulta essere molto differente.

Di fatto, i modelli globali dell’atmosfera e i modelli del clima sono più efficaci nel descrivere i processi a grande scala, rispetto a quelli a scala regionale e locale. C’è un limite ai dettagli di una data area geografica che essi sono in grado di rappresentare, ed è ragionevole chiedersi se la risposta ai cambiamenti nella copertura del ghiaccio marino a scala regionale non superi il limite. Se modelli diversi danno risposte diverse, allora è probabile che la relazione non sia robusta.

Un’altra domanda interessante è se la questione sia tutta riconducibile al solo ghiaccio marino. Non molto tempo fa, c’era chi suggeriva un collegamento tra una debole attività solare e gli inverni freddi (tale correlazione, tuttavia, è talmente bassa che non si noterebbe nemmeno, senza un’analisi statistica. Si veda anche il commento qui). Questi fattori influenzano le configurazioni bariche sul Nord Atlantico? Le macchie solari tendono a variare su una scala temporale di 10-12 anni, ma l’andamento dell’indice NAO mostra che solo alcuni degli eventi caratterizzati da valori estremamente bassi dell’indice si sono succeduti per due anni consecutivi. In altri termini, la NAO non mostra la stessa persistenza che invece caratterizza le macchie solari. Sarà interessante vedere se questo inverno si ripeterà con le stesse configurazioni bariche rilevate precedentemente – se ciò avverrà, potrebbe avvalorare l’ipotesi di Petoukhov e Semenov.

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In ogni caso non c’è contraddizione tra un riscaldamento globale e inverni freddi in regioni come l’Europa. Piuttosto, analisi recenti suggeriscono che la temperatura media globale stia avanzando verso valori più elevati (vedi figura sotto), e Petoukhov e Semenov sostengono che l’inverno freddo dovrebbe essere una conseguenza attesa di un riscaldamento globale.

Temperatura dell’aria prossima alla superficie terrestre, media globale da analisi rielaborata NCEP/NCAR. Le rielaborazioni delle analisi sono spesso considerate meno affidabili delle analisi più tradizionali per gli andamenti di lungo termine, ma possono comunque dare alcune indicazioni su come si posizioni l’ultimo anno rispetto al passato più recente.

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Articolo originale su Realclimate.org
Traduzione di: Federico Antognazza, Alessio Bellucci, Simone Casadei
Revisione di: Sylvie Coyaud
Pubblicato su Climalteranti il

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