c Ogm, la fame non puo' attendere - 02/05/2008 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 02/05/2008]
[Categorie: Sostenibilità ]
[Fonte: Il Sole 24 Ore - 30 aprile 2008 n. 119]
[Autore: Guido Romeo]
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Crisi alimentare

Ogm, la fame non puo' attendere

Biofuel e boom dei consumi spingono i prezzi di grano, soia e mais, che segnano rialzi dal 60 al 90% sul 2007 e rilanciano l'opzione Ogm. Oggi, con quasi 58 milioni di ettari di coltivazioni transgeniche, gli USA guidano la corsa alle colture geneticamente modificate, ma Argentina e Brasile seguono con 19 e 15 milioni di ettari a testa. A riprova che quello del continente americano non e' un fenomeno isolato c'e' un aumento mondiale del 12% delle colture Ogm, che nel 2007 hanno toccato i 114,3 milioni di ettari (dati ISAAA, International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications). Tra gli altri protagonisti del rilancio degli Ogm, con più di un milione di ettari ciascuno, ci sono Canada, India, Cina, Paraguay e Sud Africa che puntano su mais, soia e colza, ma anche su cotone e colture alimentari minori.
Ma se in America a farla da padrone sono le grandi aziende come Monsanto e Novartis, in Asia si fanno massicciamente strada nuove varietà di Ogm sviluppate localmente e quindi esenti da proprietà intellettuali.
La Cina è già al 20% di superficie Ogm per mais e soia e prepara il lancio sul mercato di diverse varietà di riso modificato, la coltura alimentare più diffusa del mondo. Oltre agli aumenti delle rese per ettaro, gli studi di tossicità mostrano assenza di allergie e minori intossicazioni da diserbanti tra i coltivatori che hanno sperimentato le varietà transgeniche di riso.
In confronto a questa dinamicità, l'Europa sembra ferma con appena 110 mila ettari di transgenico, soprattutto mais destinato all'alimentazione animale. Spagna e Francia fanno la parte del leone con poco più di 75 e 21 mila ettari a testa, mentre nuove coltivazioni cominciano a prendere piede ad Est. In realtà le posizioni Ogm-free come quella dell'Italia, forte importatore di mais per i mangimi animali, sembrano avere i giorni contati. Secondo uno studio Nomisma dello scorso gennaio, entro il 2013 l'86% del mais disponibile sui mercati mondiali potrebbe essere Ogm e "i margini di manovra affinché l'Italia possa continuare a perseguire un'opzione non Ogm diventeranno sempre più limitati".
Le colture Ogm sono interessanti e sempre più spesso preferite sia dai grandi produttori nordamericani che dai piccoli coltivatori asiatici per la loro resistenza agli agenti patogeni, il minor fabbisogno di pesticidi, i costi di coltivazione più bassi e la sicurezza delle rese in campo. Il mercato del mais Ogm resistente alla salinità e agli agenti patogeni, una delle colture più in sotto pressione per l'alimentazione animale e la produzione di biofuel, è stimato oggi intorno ai due miliardi di dollari negli USA a circa 3,2 miliardi a livello globale. Una fetta che rappresenta quasi il 47% del valore globale delle sementi biotech calcolato dall'ISAAA a 7,5 miliardi di dollari per il 2008.
Dietro alla nuova popolarità delle colture transgeniche non c'e' però solo la pressione dei mercati, ma anche piante di terza generazione, molto più sofisticate di quelle che 15 anni fa erano semplicemente sviluppate per essere resistenti agli erbicidi e vennero bollate come "cibo Frankenstein" dai consumatori europei. "Oggi conosciamo già molti geni che permetterebbero di ridurre l'utilizzo di concimi chimici, contenendo così l'impatto ambientale dell'agricoltura che utilizza il 70% dell'acqua dolce consumata nel mondo", osserva Michele Stanca, direttore del centro di genomica del consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra) a Fiorenzuola d'Arda. La produzione di un quintale di granella di mais, ad esempio, richiede circa 1,5-2 kg di azoto, la metà della quale non viene assorbito dalla pianta e va ad inquinare acque superficiali e di falda. Le nuova varietà modificate si sono già dimostrate in grado di ridurre i consumi fino al 30% per l'azoto e al 20% di fosforo.
In Italia, dove prima la moratoria e gli altissimi costi di autorizzazioni di Ogm alimentari tarpano le ali alle sperimentazioni in campo, i ricercatori si sono già spinti verso la terza generazione di piante, destinate alla produzione di farmaci. "L'anno scorso abbiamo depositato un brevetto per la produzione, attraverso tabacco Ogm, di un vaccino bivalente contro l'Hiv e l'epatite B oggi in sperimentazione pre-clinica sui topi a Parigi e in grado di abbattere del 90% dei costi di produzione di un farmaco" spiga Francesco Sala dell'Università' di Milano.
L'Europa potrebbe però giocare un ruolo fondamentalmente proprio nello sviluppo di elementi transgenici di nuova generazione. Mentre le grandi aziende multinazionali hanno concentrato la propria ricerca sulle grandi colture come mais, soia, cotone e colza, le colture orticole tipiche del Mediterraneo sono rimaste il terreno di gioco dei ricercatori accademici che hanno identificato geni per la resistenza alle virosi di piante di pregio come pomodori e zucchine. In Italia, la tradizione cerearicola ha permesso l'isolamento di molte caratteristiche di resistenza, per ora non tradotte in applicazioni.
"Le conoscenze non implicano necessariamente la produzione di Ogm, ma sono molto utili anche per incroci mirati", osserva Pasquale Grieco, responsabile della genomica dell'Agrobios Metapontum, un'azienda partecipata dalla regione Basilicata con oltre 7 milioni di fatturato che tempo fa aveva sviluppato il primo pomodoro S.Marzano resistente ai virus e che oggi ha messo a punto un sistema Rfid per la tracciabilita' nelle piante da frutto "oggi sembra un controsenso, ma credo che gli Ogm di nuova generazione, più sani e con minor impatto ambientale siano destinati a espandersi a molte altre colture come il biologico e nei Paesi in via di sviluppo, molto colpiti dalle malattie vegetali per alto costo dei pesticidi", sottolinea Sala.
La prima applicazione potrebbe essere proprio nel frumento, colpito dalla "ruggine nera" del fungo UG99, che attacca il chicco sbriciolandolo e, partito dall'Uganda nel 1999, ha già devastato i raccolti di Kenya, Eritrea, Etiopia e Yemen e oggi si sta espandendo all'Asia meridionale.

Vedi anche:
www.alimentazionesostenibile.org
www.iofacciolamiaparte.org

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