c Un miliardo di migranti ambientali nel 2030 - 14/10/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 14/10/2010]
[Categorie: Sostenibilità ]
[Fonte: A sud]
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Un miliardo di migranti ambientali nel 2030

[Da La Jornada del 4 ottobre 2010] Nei prossimi venti anni, circa un miliardo di persone saranno migranti ambientali. È la popolazione che sarà obbligata a lasciare la sua terra a causa del cambiamento climatico, delle privatizzazioni delle risorse naturali, la costruzione dei megaprogetti, l’espropriazione, la criminalizzazione e la guerra, avverte Giuseppe De Marzo.


Autore del libro Buen vivir, per una democrazia della terra, economista e portavoce dell’associazione italiana A Sud, afferma che il modello capitalista attualmente genera un plusvalore che equivale al doppio del PIL mondiale e si basa sulla fruizione gratuita di servizi ambientali. Qui risiede il suo profitto, e in questo modo perdono i loro diritti i lavoratori e gli abitanti delle comunità.


De Marzo spiega che l’attuale modello economico non può affrontare la crisi ecologica ed è questa la ragione per cui si deve creare il modello basato sul buen vivir. “Dobbiamo approfondire cosa è cambiato nella società, se vogliamo capire la crisi strutturale dei governi. Buen vivir significa quello che ci dicono i popoli indigeni: lo sviluppo deve andare mano per mano con la sostenibilità ambientale. Può esistere l’economia senza ecologia, no; l’ecologia senza l’economia, sì”.


Durante l’intervista riferisce che uno degli elementi centrali del libro – la cui prefazione è di Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace nel 1980 – è che “l’unico modo per uscire dalla crisi è fondare un altro paradigma di civiltà; vogliamo rovesciare la verticalità dell’attuale modello, costruire in maniera orizzontale nessi sociali, economici, giuridici e spirituali.


La ricostruzione si poggia sui due pilastri della giustizia ambientale e sociale. Così si può affrontare la crisi senza retrocedere né resistere, ma anzi radicando la democrazia.


Dalla situazione attuale non si esce con una sola nazione. “La crisi del Messico è come quella italiana; non è nazionale, è globale, è legata alla crisi del lavoro, allo sfruttamento della terra. Il punto è che non ci sono differenze in questo senso tra nord e sud; la crisi colpisce entrambi, per esempio privatizzando l’acqua e chiedendo ai lavoratori che rinuncino al diritto allo sciopero.


A partire dai conflitti ambientali si sviluppano pratiche nuove di fare politica; la novità è che queste accomunano sia le comunità del nord che le comunità del sud. La gente della Nigeria e di altri paesi come l’Italia lotta per i beni comuni, contro una discarica, un treno ad alta velocità, la difesa della terra. Tutte queste sono lotte che quando si sviluppano portano a pratiche come l’autogoverno, la democrazia comunitaria, partecipativa, la tutela delle pratiche ancestrali. Sono aspetti importanti che le comunità del nord e del sud utilizzano per difendersi dall’avanzamento della frontiera di espansione del modello capitalista, che versa in una crisi sempre più grave”


– Le negoziazioni portate avanti dalle Nazioni Unite non risolveranno il problema?


– Si parla di economia verde, però se si costruiscono automobili che non usano combustibili fossili non si risolve il problema, perché per svilupparle già si sono utilizzate risorse naturali come l’acqua e altre fonti di energia. Chiediamo la riconversione industriale, qualcosa che non abbia impatti tanto brutali come quelli dell’attuale economia, in cui molte cose si fanno soltanto per aumentare i consumi.


“Dobbiamo ridurre in 10 anni il 50 per cento delle emissioni; la responsabilità è condivisa, ma differenziata tra le nazioni. Il cambiamento climatico è la maggiore minaccia mondiale, che colpisce 600 milioni di persone all’anno e ne uccide 300mila, secondo le Nazioni Unite. Già questo basterebbe.


La proposta che si fa a Cancun non risolve niente, come non ha risolto niente a Copenaghen; il capitalismo non si può riformare da solo. Gli specialisti indicano che in due anni di crisi finanziaria abbiamo speso quello che equivale a 600 anni umani di buona salute, acqua, cibo e istruzione, questa è l’idea del problema. Perché non si investe per risolvere il problema? Perché questo modello fisiologicamente ha bisogno dell’esproprio”.


Aggiunge che il buen vivir significa “ricostruire nessi biologici, economici, giuridici con tutto ciò che ci circonda, un modello di sviluppo in armonia con la natura.
Le crisi causate dal modello vigente indicano che si deve realizzare un cambiamento che metta al centro la natura, perché la problematica ecologica dimostra che non possiamo continuare così. Non è un’utopia. Utopico è pensare che con lo sviluppo economico attuale si possa risolvere il danno ambientale”.

Angélica Enciso

Traduzione di Valentina Vivona

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