c Dicembre, è il dodici - 18/12/2007 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 18/12/2007]
[Categorie: Politica ]
[Fonte: Social Press]
[Autore: Enrico Campofreda]
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Dicembre, è il dodici
12 dicembre 2007
“A Milano, quel giorno era caldo, ma che caldo che caldo faceva, commissario apra un po’ la finestra, una spinta e Pinelli va giù”. Milano, Italia, millenovecentosessantanove. E soprattutto dodici dicembre.

Per saperne qualcosa occorre avere cinquant’anni o giù di lì. Anche diversi quarantenni stentano o confondono. E non parliamo dei più giovani. Perché non è solo il tempo che fa svaporare i fatti ma le volontà di rimozione o confusione e nel caso di quella che fu definita “strategia della tensione” i tentativi di annacquamento sono stati molteplici e reiterati. Il disegno di cancellare una memoria scomoda ha avuto trame ancor più fitte di quelle costruite con tale strategia. Accadeva in un’altra Italia, scossa dal vento della contestazione sessantottina - il detestato Sessantotto di commentatori politici diventati commendatori - e dall’autunno caldo. Era un’Italia densa di speranze che voleva cambiare, chiedeva democrazia e partecipazione di chi il Paese l’aveva amato e ricostruito col sudore della fronte dopo la sciagura del regime mussoliniano. L’Italia del lavoro, della classe operaia che avvicinava desideri e sogni a una società da trasformare.

Fu accolta dalle bombe che iniziarono a deflagrare nella milanese piazza Fontana e rintronarono per un quindicennio fino alla strage del Rapido 904 alla vigilia del Natale ’84. Stragi di Stato organizzate dai Servizi deviati e complicità fascista, con regie occulte, mantenute occulte dai governanti dell’epoca. L’epoca democristiana. Fu in quei giorni che i manovratori alloggiati al Viminale e Palazzo Chigi, inventarono la pista dell’attentato anarchico, fermarono Pino Pinelli e altri militanti fra cui Pietro Valpreda e li portarono in Questura. Tre giorni dopo da una finestra del quarto piano, durante un’interminabile notte d’interrogatori, Pinelli volò nel vuoto e finì di sognare un mondo migliore. Il Ministero degli Interni parlò di suicidio, non si volle far luce. Si disse che il commissario Luigi Calabresi che dirigeva l’interrogatorio non fosse nella stanza al momento del volo. Ma c’erano altri cinque poliziotti, nessuno fu accusato e nessuno pagò.

Nel ‘72 Calabresi venne assassinato. Per la sua morte, più di vent’anni dopo, l’ex leader di Lotta Continua Adriano Sofri finì in galera, dov’è tuttora rinchiuso sulla base di non riscontrabili accuse d’un pentito. Sul recente libro “Spingendo la notte più in là“ Mario Calabresi, figlio del commissario, raccoglie pacate e private memorie dell’Italia che fu e scrive che Pinelli “in casa nostra non è mai stato un nemico“. C’è da credergli. Pinelli forse veniva considerato nemico in via Fatebenefratelli quando subì quel trattamento particolare. E se Luigi Calabresi in quei frangenti lo considerasse tale il figlio Mario non può saperlo. Pinelli e le vittime di quegli anni di stragi e repressione sono sicuramente state considerate un simbolo per gli oppositori del Capitale, di quello che veniva definito “lo Stato borghese”. E anche quest’ultimo lo considerò tale. Come avversario non solo da eliminare - per mano di chi non s’è mai voluto scoprire, mentre capri espiatori e forzature sono state operate per l’assassinio Calabresi - ma da cancellare nella stessa memoria.

Anni fa le giunte milanesi del leghista Formentini e del berlusconiano Albertini provarono a spostare la sobria lapide che, a pochi passi dalla tristemente nota filiale della Banca dell’Agricoltura e da Palazzo Marino, menzionava il sacrificio del ferroviere anarchico.
Si voleva annebbiare il ricordo di quegli anni. Dopo trentotto dodici dicembre prosegue l’annullamento di quel giorno, di quella strage e dei lutti che ne derivarono. Proprio come nei decenni ha fatto certa Magistratura compiacente al Palazzo con nuove sentenze che annullavano le precedenti sui Freda, Ventura, Giannettini, La Bruna, la Rosa dei Venti. Ma anche sul capo del governo Mariano Rumor e sul responsabile degli Interni Franco Restivo. Si vuole sciogliere nell’acido dell’indifferenza la testimonianza di chi cercava d’affermare un principio di democrazia non delegata ma partecipata a difesa dei lavoratori, e chi lo impediva con le bombe e i salti nel vuoto. Perché la rimozione e il revisionismo non cancellino fatti e responsabilità il nostro dovere morale ci porta a riparlarne.

Pubblicato su alternativ@mente.info

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