c L'emissione delocalizzata - 17/03/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 17/03/2010]
[Categorie: Ecologia ]
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L'emissione delocalizzata
I paesi ricchi sono responsabili anche di molta della CO2 messa in atmosfera da quelli in via di sviluppo. E' la CO2 emessa per produrre beni esportati e consumati nei paesi industrializzati. Un massiccio “outsourcing” delle emissioni: oltre un terzo dei gas serra legato ai consumi dei paesi industrializzati risulta a carico degli altri. Uno studio della Carnegie Institution for Science.

I paesi industrializzati sono responsabili non solo delle loro emissioni ma anche di una parte rilevante della CO2 messa in atmosfera da quelli in via di sviluppo: è quella dovuta alla produzione di beni esportati e consumati nel primo mondo. Un “outsourcing” di dimensioni tali da non poter essere ignorato quando si pensa alla strategia mondiale per rallentare il global warming.
Arriva in contemporanea con la ratifica cinese del trattato di Copenhagen, avvenuta la settimana scorsa, uno studio della Carnegie Institution for Science (vedi abstract) che riporta un importante argomento a favore dei paesi poveri nel dibattito sulla responsabilità dell’effetto serra.

Dal lavoro, pubblicato sull’ultimo bollettino del Proceedings of the National Academy of Sciences, emerge infatti quanto anticipato: oltre un terzo delle emissioni legate al consumo di beni e servizi nei paesi ricchi avviene al di fuori dei loro confini. Alcune nazioni come la Svizzera “delocalizzano” più della metà della CO2. Emissioni “consumate” nei paesi ricchi, ma prodotte soprattutto in quelli in emergenti con un’economia basata sull’export, come la Cina, un quarto delle cui emissioni è causata dalla produzione di merci destinate all’estero.

Lo studio quantifica, infatti, le emissioni legate ai vari beni e servizi consumati nei diversi paesi e le incrocia con i dati sui flussi internazionali delle merci (vedi immagine sotto). Invece che considerare i gas serra per la quantità che viene rilasciata all’interno dei confini di un paese, si è guardato alla quantità di CO2 emessa per la produzione dei beni che vi si consumano. Cinquantasette i settori merceologici presi in considerazione in 113 paesi o regioni e il riferimento è sui dati dello scambio di merci del 2004.

Si scopre così che alcuni piccoli paesi ricchi, come la già citata Svizzera, sono responsabili di più emissioni “delocalizzate” al di fuori dei confini di quante non ne producano in casa. Diverso il discorso per gli Stati Uniti, che importano molte merci ma ne esportano anche quasi altrettante: il bilancio finale indica che la quantità di CO2 prodotta all’estero sul totale è dell’11%. I consumi di ogni europeo, si legge, comportano ogni anno 4 tonnellate di CO2 “delocalizzata”,  mentre quelli di ogni statunitense 2,5.

Dati che andrebbero aggiunti a complemento di quelli sulle emissioni procapite considerati normalmente: calcolando anche la CO2 emessa all’estero per i beni consumati in patria, ad esempio, le emissioni di ogni italiano sarebbero di circa 11,7 tonnellate di CO2, anziché 7,7 come si considera normalmente (dati Banca Mondiale 2008); quelle di ogni statunitense 22, anziché 19,5 e infine, al netto dei gas serra rilasciati per produrre beni poi esportati, le emissioni procapite cinesi passerebbero dalle 4,3 tonnellate normalmente considerate a poco meno di 3.

Già altri studi in passato avevano ribadito la responsabilità dei paesi ricchi per il global warming, mostrando come la riduzione delle loro emissioni domestiche fosse dovuta in gran parte alla delocalizzazione nei paesi in via di sviluppo di molte delle loro industrie più impattanti. Ora il lavoro della Carnegie Institution for Science getta un altro sasso nello stagno. “Dove la CO2 venga emessa non fa differenza per il sistema climatico – sottolinea l’autore principale dello studio, Steven Davis - “politiche efficaci devono avere una visione globale. Visto che il maggiore ostacolo a misure mondiali condivise sul clima è quello della limitazione delle emissioni dei paesi emergenti, trasferire la responsabilità di queste ai consumatori finali in altre parti del mondo potrebbe rappresentare l’opportunità per un compromesso”.

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