c Natura, bene di tutti: la foresta fa causa alla Nestlé - 02/03/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 02/03/2010]
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Natura, bene di tutti: la foresta fa causa alla Nestlé

Il 19 luglio scorso, il “Boston Globe” ha pubblicato un articolo intitolato, “Citato in giudizio da una foresta?”. Come spesso accade nella storia del nostro pianeta, le rivoluzioni partono da pochi individui. Ecco cosa è accaduto. Nel febbraio 2009, 2.326 abitanti di Shapleigh nel Maine hanno votato una rivoluzionaria ordinanza per proteggere le falde acquifere dalle attività della Nestlé Corporation. Shapleigh ha fatto una cosa umile ma audace. Ha affermato i diritti legali e naturali della cittadina: «Le comunità naturali e gli ecosistemi possiedono diritti inalienabili e fondamentali di esistere, crescere ed evolversi nell’ambito della città di Shapleigh».

Dunque, ogni residente ha il diritto di chiedere giustizia per i danni arrecati alla natura: chiunque potrà citare in giudizio privati e società che danneggiano un corso d’acqua – e proprio nel nome di quel corso d’acqua. In Usa sono già una dozzina le città che hanno adottato misure simili, anche grazie all’azione del Celdf, che supporta anche la coalizione di quindici municipalità unite nella difesa dei diritti della natura della contea di Franklyn, in Pennsylvania, nata nel 1998. Nella dichiarazione di intenti della coalizione si legge: «Noi crediamo che gli spazi aperti, le zone umide e le foreste sono di vitale importanza per la protenzione dell’habitat naturale tanto quanto lo sono per il nostro benessere».

Ma arriva da lontano il sentire di una comunione spirituale tra terra e uomo: «La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra. Tutto è unito. Non è l’uomo che ha ordito le trame del tessuto della vita, egli è solo uno dei suoi fili. Ciò che l’uomo fa a questo tessuto, lo fa a se stesso», dichiarò Capo Seath della tribù Suwamish al presidente Usa Franklin Pierce nel gennaio 1854. Il pensatore e scrittore Henry David Thoreau – proprio nel Maine – aveva elaborato il pensiero espresso nell’ormai classico Walden, ovvero la vita nei boschi, edito proprio nel 1854. Thoreau è colui che ha fornito la fibra del pensiero naturale che attraversa come una corrente carsica gli ultimi centocinquant’anni di filosofia ambientale americana.

Il Celfd, “Community Environmental Legal Defense Fund”, ha lavorato per questa coalizione ma nel 2008 ha ottenuto un grande successo relativo alla definizione delle wild laws – leggi naturali – sui diritti della natura. E per la nuova assemblea costituente dell’Ecuador ha elaborato il referendum popolare che il 28 settembre di un anno fa ha costituzionalmente sancito i diritti della natura: «La natura ha il diritto di esistere, persistere, mantenersi, rigenerarsi attraverso i propri cicli vitali, la propria struttura, le proprie funzioni e i propri processi evolutivi».

L’ultimo successo è recentissimo: nella città di Spokane (Washington), migliaia di cittadini hanno votato una carta dei diritti riassunta da nove “diritti fondamentali” dell’ambiente dai quali discendono i diritti a un’economia locale, con scelte operate dai residenti e non da attori esterni. È la prima volta che ogni cittadino gode del diritto di far rispettare l’ordinamento.

Wild Law è un termine coniato da Cormac Cullinan, legale di Cape Town che con questi termini indica ogni leggi inerente la giurisprudenza del pianeta Terra. È una rivoluzione del pensiero, uno schiaffo alla convinzione cartesiana che la specie umana ha il diritto di usare, sfruttare e trarre profitto da qualsiasi risorsa naturale del pianeta. Wild Law è la legge che regola i comportamenti umani atti a privilegiare – sul lungo periodo – il mantenimento, l’integrità e il funzionamento dell’intera comunità planetaria al di sopra di interessi particolari e privati.

Dopo la conferenza del 2005 all’Università di Brighton in Inghilterra, Cullinan pubblicò “Wild Law”, libro in cui egli afferma l’assunto dal quale partire per realizzare una nuova giurisprudenza: «Attualmente le leggi delle culture dominanti rendono difficile alle comunità umane una relazione intima con la terra e dunque con il Pianeta. La visione che molte leggi hanno della terra riflette il mito che essa sia un prodotto – a dispetto dell’evidenza che essa non è stata creata per essere venduta. Pretendendo che la terra sia una sorta di prodotto che si può possedere e usare come un tavolo, i sistemi legali legittimano e incoraggiano l’abuso del Pianeta da parte degli uomini».

E l’Europa? Per ora l’Onu ha promosso una campagna a favore di una dichiarazione universale dei diritti planetari che dovrebbe provare a sancire questi principi all’interno della giurisprudenza internazionale: il modello è la dichiarazione universale dei diritti umani. Sarebbe già un primo passo.

(Davide Sapienza, “I diritti della natura”, da “Penelope va alla guerra”, il blog collettivo nato da un’idea di Francesca Cenerelli, http://scriviapenelope.wordpress.com/).

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