c Abbasso le Olimpiadi - 04/06/2007 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 04/06/2007]
[Categorie: Decrescita ]
[Fonte: Un Pediatra Per Amico]
[Autore: Lucio Piermarini]
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n. 2
marzo-aprile 2007


Abbasso le Olimpiadi
Vogliamo parlar male dello sport

A chi verrebbe in mente di parlar male dello sport?
Ma non di quello di cui è facile parlar male, tipo: il calcio dei Moggi e della violenza negli stadi, l’atletica del doping, l’automobilismo miliardario degli incidenti mortali, l’ippica delle scommesse con l’ultimo euro e, finendo in gloria, il pugilato in tutto e per tutto. Vogliamo parlar male proprio di quello santificato da tutti, medici in testa e politici in coda. Sì, sì, proprio quello sport che fa tanto bene alla salute, e non solo al corpo, ma anche allo spirito perché, educando al rispetto delle regole e impegnando ad un sano agonismo, con la sportiva accettazione della sconfitta promuove la costruzione di un carattere più saldo nei rovesci della vita, e con l’esaltazione, sempre sportiva, della vittoria rafforza l’autostima e la realizzazione di sé. Per non parlare dell’alto valore formativo degli sport di squadra, dove l’impegno personale viene messo al servizio degli altri, e quello che conta non è più il singolo ma il tutto, la squadra insomma, profetica metafora della società civile. Cosa pretendere di più?
Perché aspettare? E allora vai con l’iscrizione precocissima a qualche corso di avviamento allo sport, certo qualche volta costa un po’ di sacrificio ma, visto che fa tanto bene, si può fare, anche se poi col tempo il sacrificio diventa grosso, perché lo sport per la creatura non è sempre gratuito, anche quando lo è, perché il tempo è rubato ad altro e le palestre e le piscine non te le fanno mai sotto casa, e la strada è piena di pedofili, la benzina costa, e non solo quella ma anche le gomme, l’olio, le riparazioni, e costa il completino e le scarpette e tutto il resto che come si fa a negarglielo che si diverte tanto, e allora viva il nuoto che basta un costume e poi è uno sport completo, e si diverte anche di più che in palestra perché l’acqua be’, quella sì che ai bambini è sempre piaciuta, che tutto sommato non è che nuotino tanto, ma comunque impara a non affogare, e almeno quello perché alle prime gare, sì sì proprio gare, primi ci arrivano in pochi e gli altri sono tutti secondi e alcuni addirittura ultimi, oddio ultimi!, però sono pochi, oh! insomma qualcuno deve pur soccombere, e comunque si divertono anche loro e poi gli fa bene, nella vita è così, perché è a questo che serve lo sport, a capire che ci sono i primi e i secondi, e tutti sono contenti, i primi perché sono primi, e i secondi perché se no non sono sportivi e allora fuori dalle scatole e vai fare qualche altra cosa, perché ci sarà pure qualcosa dove riuscirai ad arrivare primo. O no?
È questo lo sport? Viene il dubbio che questo non sia lo sport, o forse che questo sia lo sport ma noi, quando pensavamo al benessere psichico e fisico dei nostri bambini, intendessimo un’altra cosa. Forse quello a cui noi pensavamo, nel nostro immaginario storico, o letterario, era un bel prato verde, attrezzato e recintato, facilmente raggiungibile a piedi da casa, o addirittura gli stessi spazi aperti delle scuole, con tanti bambini di diversa età, variamente raggruppati e mutevolmente intenti a giocare, con un rimescolamento continuo di giochi e giocatori, senza un ordine superiore che regolasse il tutto, ma con un ferreo ordine interno specifico ai gruppi e che proprio per questo doveva essere rispettato. Forse ci vedevamo anche qualche adulto, genitori o nonni o operatori pubblici, occupati a godersi lo spettacolo e pronti ad intervenire, intelligentemente, in caso di baruffe irrisolte. Forse, in una situazione normale come quella, ci saremmo meno preoccupati del freddo o del sudore o di un po’ di pioggia. Forse, fra tanti ci sarebbe scappato anche il campioncino, ma sarebbe stato un evento fortuito, o come si dice “serendipico”, cioè impegnandosi a fare bene si è incappati in un qualcosa di notevole e di inaspettato, e che se non ci fosse stato saremmo stati bene ugualmente.
Una patacca. Se è così, allora, forse, bisogna dire sempre forse, qualcuno ci ha venduto una patacca, però ben confezionata, un bel pacco generosamente riempito dalle società sportive, scientificamente imballato dalla medicina sportiva, servizievolmente incartato e infiocchettato dalla politica, e distrattamente acquistato da noi cittadini.
In effetti, nonostante il fiorire di palestre pubbliche e private, e il gran da fare che tutti si danno per convincerci a fare “lo Sport”, e nonostante noi si sia tutti abbastanza convinti che serva farlo, i risultati, in termini di soggetti praticanti, sono assolutamente deludenti. I dati ISTAT sono eloquenti: nonostante un aumento nel corso degli ultimi venti anni dei praticanti nell’età scolare, dall’adolescenza in poi inizia un declino che si mantiene fino all’età adulta.
Gli ostacoli sono numerosi, e il primo è proprio insito nella concezione dello sport che prevale oggi. Come può essere per tutti, se lo colleghiamo e leghiamo al raggiungimento del primato e del record costi quel che costi? Formalmente è per tutti, in realtà è per pochi naturalmente dotati. Necessariamente gli esclusi saranno la stragrande maggioranza. Parliamo di sport come se parlassimo di competizione industriale, di investimenti di capitale, di successo economico, di emancipazione sociale, quando dovrebbe invece significare passare il tempo allegramente. Ma se anche lo interpretassimo per quello che veramente è, o non volessimo vedere tutto questo gran male nella attuale promozione sportiva, dove lo andiamo a praticare? Tra i motivi denunciati dai giovani che non hanno iniziato o hanno abbandonato la pratica sportiva figura in testa l’eccessiva quantità di tempo sottratta allo studio e la mancanza di disponibilità di impianti sportivi, sia per la distanza sia per gli orari. Due motivi che possono sovrapporsi, perché più è lontana la palestra più tempo si perde. Ovviamente una palestra è troppo costosa, come costruzione e manutenzione (non parliamo delle piscine) per poterne avere una per quartiere e, se anche fosse (ogni scuola ne ha una o quasi), sarebbe comunque troppo piccola per ospitare tutti i potenziali fruitori. E poi, proprio perché la palestra costa molto, chi la vuole usare è giusto che in parte contribuisca, e l’aspetto economico è un altro dei motivi che, sempre secondo l’ISTAT, allontanano allo sport.
Felice quel popolo che non ha bisogno di medaglie! Che fare allora? Il povero CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), ente deputato a promuovere “lo Sport” per, come dichiara il suo nome, farci raggranellare il maggior numero di medaglie alle Olimpiadi, perché un paese con poche medaglie è una fetecchia, fa quanto è nelle sue possibilità per fornirci di impianti adeguati, ma non ha dallo Stato (in realtà dagli incassi del Totocalcio) sufficienti denari e così siamo condannati, ogni quattro anni, a piangere sul nostro amaro di destino di popolo inferiore. Ma ci importa così tanto di vincere medaglie? Ci fa bene alla salute? Misura il nostro grado di civiltà? Non avremmo forse bisogno del contrario, nel senso di competere di meno e divertirci di più, magari tutti, forti e deboli, geni e poveri di spirito, piccoli e grandi? Per questo non ci servono costose e scomode palestre, né piscine coperte, né mega impianti. Se qualcuno li vuole se li paghi con i suoi soldi. Felice quel popolo che non ha bisogno di medaglie! Per noi comuni mortali è prioritario realizzare quel semplice sogno di prati e bambini e nonni e giochi, e sarebbe ora che se ne rendesse conto anche chi ci dovrebbe servire amministrando il denaro pubblico. Non dovrebbe essere così difficile progettare in ogni quartiere spazi verdi protetti, idonei a tutte le età, facilmente raggiungibili dai bambini senza troppe preoccupazioni dei genitori. O forse sì? Per pigrizia mentale? Per ignoranza? Per conflitto di interessi? Riacquistiamo coscienza, aumentiamo la partecipazione e cambiamo le nostre città, magari anche al grido di abbasso “lo Sport”, abbasso le Olimpiadi, abbasso il CONI!




LA LIBERTÀ
Voi, robusti ragazzi di campagna che dovete fare soltanto un passo per trovarvi nei campi infiniti sotto l'immensa volta blu del cielo, voi i cui occhi sono abituati a vaste distese di terra e che non siete chiusi tra le grigie mura delle città, voi non potete neppure immaginare cosa significhi un pezzo di terreno libero per un ragazzo della capitale (ndr Budapest). Per lui è la libertà...
da I ragazzi della via Pal, Ferenc Molnar

SERENDIPICO
Strana parola che deriva, tanto per cambiare, dall’inglese “serendipity”, parola coniata nel 1754 dal letterato Horace Walpole il quale, rimanendo colpito dal racconto dei "Tre principi di Serendippo" di Cristoforo Armeno, ne estrasse un personalissimo principio: serendipity è dunque lo scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra.



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