c Contro la crisi, riprendiamoci ciò che ci appartiene! - 10/02/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 10/02/2010]
[Categorie: Politica ]
[Fonte: Attac italia]
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Contro la crisi, riprendiamoci ciò che ci appartiene!
Documento conferenza dei comitati locali di Attac 2009

1. La crisi è economica

La crisi è in corso ed è ben lungi dal concludersi. Perché parte dalla finanza ma non è una crisi esclusivamente finanziaria. Nasce dai meccanismi centrali di questo sistema. La ricerca di sempre maggiori utili e la concorrenza fra i diversi capitali hanno creato una forte sovracapacità produttiva mondiale, con conseguente abbassamento dei profitti.
E’ la crisi di trent’anni di politiche neoliberali e dell’illusione di un capitalismo libero di dispiegarsi dentro la globalizzazione dei mercati, la liberalizzazione della finanza, le delocalizzazioni produttive, la precarizzazione del lavoro e le privatizzazioni.
Un gigantesco processo di trasferimento economico dai salari alle rendite finanziarie e ai profitti, che, oltre a non aver determinato una nuova fase espansiva, ha prodotto un forte peggioramento delle condizioni di vita di gran parte delle popolazioni e un’impressionante accelerazione del degrado ambientale.

2. La crisi è ambientale

A dispetto di tutte le politiche promosse dalle istituzioni internazionali in questi anni, le persone che sul pianeta soffrono la fame sono passate da 800 milioni ad 1 miliardo. Ad oggi, 1,3 mld di persone sono prive di acqua potabile e 2,5 mld sono prive di servizi igienico-sanitari.

La temperatura globale probabilmente crescerà sino a 4°C entro fine secolo a causa dell’effetto serra, con effetti devastanti : aumento degli eventi atmosferici estremi e della desertificazione; innalzamento dei livelli marini e conseguenti inondazioni; esodo di centinaia di milioni di persone e possibile estinzione del 20 – 30% delle specie animali e vegetali.

A fronte di questa drammatica situazione, occorre registrare l’assoluta impotenza delle istituzioni internazionali e dei summit fra i poteri forti deputati ad intervenire : è dello scorso novembre il fallimento dell’incontro della Fao, è di dicembre quello del COP15 di Copenaghen.

Emerge un dato : l’impossibilità per questi vertici di rimettere in discussione alla radice il modo di produzione che è alla base della società attuale: proprietà privata delle risorse naturali per trarne rendite o sovrapprofitti da monopolio e/o appropriazione gratuita di tali risorse naturali, considerate come libere ed inesauribili, con conseguente degradazione e rarefazione delle stesse.

Un modo di produzione basato sulla continua espansione della produzione per aumentare i profitti e sull’indifferenza al carattere limitato delle risorse, ai tempi dei cicli naturali, al “cosa, come e per chi produrre”.

3. La crisi è di democrazia

Il pensiero unico del mercato, l’idea che l’intero pianeta dovesse essere considerato un unico luogo di scambio delle merci e di circolazione dei capitali finanziari, ha radicalmente trasformato i diritti in bisogni e i servizi in merci da comprare.

La democrazia si coniuga sempre meno con l’autogoverno dei cittadini e sempre più con la concentrazione dei poteri decisionali in sedi sempre più ristrette al fine di rispondere in modo rapido alle richieste dell’economia.

Tutto ciò che è ‘pubblico’ o ‘comune’ viene progressivamente espropriato per consegnarlo alle leggi del mercato, determinando una drastica riduzione degli spazi per l’azione collettiva e per il controllo democratico.

Alle persone è offerto l’universo della “solitudine competitiva” : ciascuno da solo sul mercato in diretta competizione con tutti gli altri. Il razzismo manifesto, la ferocia identitaria verso i più poveri, la corporativizzazione degli interessi sociali sono il risultato di una frammentazione indotta e funzionale al mantenimento delle divisioni sociali.

La stessa trasformazione degli amministratori locali da gestori dei beni comuni e dei servizi pubblici locali in ‘sceriffi’ segnala il fatto che quanto più si restringe lo spazio orizzontale della partecipazione e dell’inclusione tanto più si allarga lo spazio verticale della coercizione autoritaria.

La democrazia negata fin dai livelli più prossimi ai cittadini, con la trasformazione degli enti locali in holding e multiutility, chiede una forte riflessione non solo sulla riapertura di un ruolo del “pubblico”, bensì sulla riconquista dal basso di una democrazia diretta e partecipativa

RIAPROPPRIAMOCI DI CIO’ CHE E’ NOSTRO

1. Il ridursi degli sbocchi produttivi ha portato i capitali a riversarsi sui mercati finanziari nell’illusione che il denaro potesse creare denaro dal nulla. Ma le speculazioni, per quanto sofisticate, generano profitti fittizi e le bolle finanziarie sono destinate ad esplodere a contatto con la realtà. La deregolamentazione dei mercati finanziari, con la conseguente libertà dei capitali di potersi muovere a piacimento alla ricerca delle condizioni più remunerative, è stata uno degli strumenti fondamentali delle politiche neoliberiste, che hanno pervaso l’intera economia, ristretto gli spazi della decisionalità politica, trasformato i beni comuni in merci e i servizi pubblici in merci da acquistare.
Un’inversione di rotta è assolutamente necessaria : riprendere una costante elaborazione critica della finanziarizzazione, chiedere come primo passo l’approvazione della legge sulla Tobin Tax (per la quale a suo tempo raccogliemmo quasi 200.000 firme), rivendicare nuove forme di tassazione globale sono i passi che possono contribuire a fermare la speculazione e a riaffermare un controllo democratico dei movimenti di capitali.

2. Il crollo dei mercati finanziari è anche il crollo degli investimenti dei Fondi Pensione.
Il ritorno a pensioni pubbliche che garantiscano una reale esistenza dignitosa delle persone, oltre che una minima norma di giustizia sociale, è una necessità di fronte al rischio di un futuro di indigenza per gran parte della popolazione. L’esistenza futura delle persone non può essere l’esito di una scommessa nei mercati finanziari ma deve essere un diritto inalienabile per tutte/i garantito dal pubblico.

3. La precarietà del lavoro e nel lavoro, reclamata come inevitabile sacrificio per garantire il benessere di tutti, ha dimostrato il suo vero volto e non ha evitato una crisi, la cui gravità è paragonabile solo a quella del 1929. Per questo occorre ripartire dai diritti e dalla dignità, reclamando un lavoro stabile e dignitoso per tutti, rispettoso dei cicli ambientali, ridistribuito fra tutte e tutti a parità di salario, finalizzato a rispondere ai bisogni sociali e ambientali.

4. La crisi ambientale richiede una radicale trasformazione del modello produttivo ed energetico e della società attraverso una nuova pianificazione democratica e partecipativa. Occorre passare dal “consumo critico” alla “critica della produzione”, ovvero dall’intervento individuale ‘a valle’ alla gestione partecipativa ‘a monte’ verso un modello basato sul risparmio energetico e su un’energia “pulita, territoriale e democratica”. “Come, cosa e per chi produrre”deve essere deciso da tutte/i. Dentro la crisi attuale, significa anche mettere in campo la ripubblicizzazione partecipativa del credito e delle aziende in crisi, anche per favorirne la riconversione produttiva verso la soddisfazione dei bisogni sociali e ambientali.

5. Il ruolo del “pubblico” significa innanzitutto la riaffermazione dei diritti inalienabili di ciascuna persona all’esistenza e ad una elevata qualità della vita, attraverso il libero accesso ai beni comuni naturali– come aria, acqua, territorio ed energia- e la loro contemporanea tutela, e attraverso il libero accesso ai beni comuni sociali – come sanità e assistenza, conoscenza, protezione sociale, previdenza- e la loro possibilità di fruizione. Significa inoltre l’universalità degli stessi per tutte le persone, indipendentemente dalle differenze di origine, sociali, economiche, di genere e di orientamento sessuale.

6. La voragine che si è aperta tra la rappresentanza politica e istituzionale e la società va colmata non semplicemente con la riattivazione di una democrazia rappresentativa, bensì attraverso la conquista dal basso della democrazia partecipativa.
La riappropriazione sociale diventa lo strumento per collegare la lotta alle privatizzazioni all’idea di una trasformazione generale della società. Significa sottrarre al mercato ogni sfera che attiene ai diritti, ai beni comuni naturali e sociali, non per affidarla ad un pubblico ‘burocratizzato’ e tecnicista, bensì alla gestione partecipativa a tutti i livelli.

LE PROPOSTE DI ATTAC

1. Ripartire dall’Europa

L’Europa si è costruita come spazio economico in cui i capitali potevano scorrazzare liberi alla ricerca delle condizioni migliori. La mancata convergenza delle legislazioni economiche, sociali, fiscali, e le condizioni economico sociali nei diversi Stati, mettono di fatto i Paesi in concorrenza fra loro per attrarre gli investimenti. L’assenza di uno spazio politico democratico adeguato e le politiche neoliberiste dell’Unione Europea, che hanno il loro guardiano nella BCE, rendono il nostro continente particolarmente vulnerabile alla crisi.
L’Europa è però anche uno spazio possibile per poter costruire un progetto alternativo, impensabile a livello di singola nazione.
La costruzione di movimenti europei, avvenuta solo per brevi periodi e a ‘macchia d leopardo’ –ricordiamo la campagna europea sulla Tobin Tax o quella contro la direttiva Bolkestein- diviene sempre più necessaria. Un compito che Attac, presente in tutti i Paesi e con una significativa anche se ancora inadeguata rete propria, non può demandare ad altri.
I prossimi vertici sul clima e il prossimo FSE di Istanbul devono diventare appuntamenti in cui la rete europea degli Attac promuove la costruzione di movimenti europei sulla tassazione globale, la giustizia climatica, e la ripubblicizzazione dell’acqua e dei beni comuni.

2. In Italia ripartire dai movimenti

Nel nostro Paese, la ricchezza dei conflitti a livello territoriale trova il suo contraltare nella frammentazione degli stessi. Attac Italia, a livello nazionale e territoriale, per l’elaborazione e l’esperienza prodotta in questi anni, può dare un importante contributo all’inversione di rotta.

1. Per la ripubblicizzazione dell’acqua. L’esperienza del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, alla cui costruzione e percorso Attac ha contribuito in maniera decisiva, rappresenta un esempio di come sia possibile costruire reti nazionali capaci di tenere insieme la ricchezza delle resistenze territoriali con una vertenza nazionale, unitaria nell’aggregazione di forze, radicale negli obiettivi perseguiti. I prossimi appuntamenti della manifestazione nazionale del 20 marzo e della campagna di raccolta firme per l’indizione di tre referendum abrogativi da aprile possono rappresentare un momento di accumulazione decisiva di forze in grado di vincere una battaglia importantissima per la ripubblicizzazione dell’acqua e per modificare i rapporti di forza sulla lotta alle privatizzazioni. Per questo è necessario un impegno straordinario e visibile dell’intera associazione ai diversi livelli, nazionale e territoriale. Finalizzato anche ad evidenziare il carattere paradigmatico di questo referendum come primo momento di lotta per una più generale riappropriazione sociale.

2. Per la giustizia climatica. In questi anni e in moltissimi territori sono nate decine di resistenze in difesa dei beni comuni. Tutte mobilitazioni significative e capaci di proposte alternative nel segno della democrazia condivisa, che contrastano la politica delle “grandi opere” devastatrici dei territori, una gestione dei rifiuti legata al business dell’incenerimento, un modello energetico dissipatorio e autoritario, basato su impianti nocivi ed ora anche sul nucleare. La positiva esperienza dei movimenti a Copenaghen segnala come la questione della giustizia climatica, possa aprire spazi per una possibile riunificazione di queste esperienze intorno a una critica complessiva di questo modello economico e sociale. Da questo punto di vista, la manifestazione del 20 marzo, concepita in forma aperta alle esperienze di questi movimenti può rappresentare un primo passo. Il secondo passo può diventarlo la costruzione di un forte movimento antinucleare nei prossimi mesi, quando i programmi governativi diventeranno significativamente attuativi. L’internità dei Attac a questi processi, assieme alla promozione di iniziative diffuse in tutti i territori sul binomio crisi/giustizia climatica (dibattiti, convegni esperienze diffuse di università popolare) può rappresentare l’importante contributo prodotto dalla nostra associazione.

3. Per la lotta alla finanziarizzazione dell’economia. Riaprire la campagna per la Tobin Tax; approfondire un percorso di studio e di mobilitazione per le tassazioni globali, per una critica del ruolo del sistema bancario, per la ripubblicizzazione del credito; costruire assieme ad altre reti interessate un osservatorio sulla finanza (la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale ha già manifestato interesse) sono gli obiettivi a cui Attac può dare un importante contributo di analisi, di sensibilizzazione e di mobilitazione sociale. Si tratta di intraprendere un’azione sistematica, attraverso il coinvolgimento e il coordinamento di tutte le disponibilità e le competenze presenti nell’associazione.

4. Per la conquista della democrazia partecipativa. In ogni territorio diviene importante che il ruolo dei comitati locali di Attac sia costantemente orientato a contribuire alla costruzione di conflitti per la riaffermazione dello spazio pubblico come luogo dell’inclusione sociale e della partecipazione democratica. In questa direzione, le lotte per la ripubblicizzazione dei servizi pubblici locali e il contrasto alle politiche securitarie e repressive diventano un percorso comune di riapertura di spazi e diritti condivisi. La costruzione di progetti “metropoli” o progetti “città”, ovvero la costruzione di una conoscenza condivisa della complessità di ciascuna realtà urbana può diventare un importante contributo alla connessione tra le vertenze esistenti e la possibilità di un’azione comune per la conquista dal basso di una nuova democrazia partecipativa.

Il ruolo peculiare di Attac che abbiamo individuato con questo percorso/campagna “Riappropriamoci di ciò che è nostro” consiste nell’essere presenti in questi filoni di iniziativa -così come in altri momenti di lotta contro la crisi economica ed ecologica che potrebbero nascere- portando la nostra peculiare chiave di lettura.
Che ci consente di intrecciare le singole campagne in corso evidenziando i nessi che le collegano e di connettere le lotte immediate ad una prospettiva più generale di trasformazione sociale.

Lo sforzo che come associazione dovremo fare sarà quello di rendere evidente nell’azione collettiva come il referendum non sarà per noi un’iniziativa solo sull’acqua, le iniziative sull’effetto serra non saranno settorializzate al solo tema del cambiamento climatico, la lotta alla finanziarizzazione non riguarderà un settore separato dell’economia e le attività sui territori non saranno pensate come iniziative locali.

Sforzo necessario sia per garantire l’efficacia di tali iniziative, sia per una più generale ricomposizione dei movimenti e dei soggetti sociali, senza la quale la possibilità di contrapporsi all’attuale stato di cose non riuscirà a trasformarsi in un’alternativa concreta.

Dovremo tutte e tutti assieme trovare gli strumenti adeguati e prefigurare tipologie di iniziative da suggerire all’attività dei comitati locali e all’associazione nel suo insieme.

ATTAC ITALIA
www.attac.it – segreteria@attac.org

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