c Anche gli Ogm nella «dieta» di mucche, polli e maiali - 04/02/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 04/02/2010]
[Categorie: Alimentazione ]
[Fonte: Corriere.it]
[Autore: Giuseppe Sarcina]
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I produttori: «utilizzati da quasi tutti gli allevatori comprese le filiere dop»

Anche gli Ogm nella «dieta» di mucche, polli e maiali
Sono il 25% dei mangimi consumati in Italia

MILANO — Si può partire dalla base, dalle stalle ipertecnologiche di Cremona, la «capitale del latte» italiano. Oppure si può cominciare dagli uffici romani delle associazioni degli importatori (Anacer) o dei produttori di mangimi (Assalzoo). Il dato di fondo, però, non cambia: ogni anno gli allevamenti italiani consumano 3,5 milioni di tonnellate di farina di soia Ogm (organismo geneticamente modificato). È una quota pari al 25% del fabbisogno totale (14,5 milioni di tonnellate, di cui 10,5 milioni di mais) necessario per nutrire bovini, suini, polli e tacchini. Numeri poco conosciuti al di fuori di una ristretta cerchia di addetti ai lavori, ma particolarmente utili oggi, nel momento in cui la Conferenza Stato-Regioni sta lavorando sulle «linee guida» per la coesistenza tra le colture bio-tech e quelle tradizionali. In parallelo si è riacceso il confronto tra le «due agricolture» italiane. La prima incardinata «sull’identità Dop » , dal prosciutto alla mozzarella (versante Coldiretti), l’altra fondata sui grandi allevamenti e le colture estensive (sponda Confagricoltura).

Premessa obbligatoria: la farina Ogm viene importata, sostanzialmente, da Argentina, Brasile e Stati Uniti. Ma tra i documenti di accompagnamento deve figurare l’autorizzazione preventiva concessa dall’Unione Europea, che sottopone ogni sostanza (in questo caso i semi di soia) all’esame scientifico dell’Autorità per la sicurezza alimentare di Parma (Efsa). «La produzione italiana non è in grado di soddisfare il fabbisogno delle stalle e la farina di soia Ogm costa molto meno di quella tradizionale» dice Filippo Galli, presidente di Anacer, Associazione nazionale cerealisti che rappresenta circa 100 importatori, l’80% del totale. All’allevatore la farina di soia biotech costa il 20-30% in meno. «Questo spiega perché la versione Ogm sia diventata ormai una componente essenziale della dieta giornaliera praticamente in tutti gli allevamenti italiani, compresi quelli da cui dipendono le filiere delle principali Dop, dal prosciutto San Daniele al Parmigiano, al Grana eccetera » sostiene Giulio Gavino Usai, responsabile economico di Assalzoo, l’organizzazione dei produttori di mangimi.
La farina di soia fornisce proteine e incide in maniera diversa nella dieta degli animali: si va dal 10% per i suini, al 30% per i bovini da latte.

In Italia esiste anche una sacca di soia «Ogm free», ma mette insieme solo 500-600 mila tonnellate all’anno, pari al 5-7% del totale. Le norme europee impongono trasparenza: se la componente Ogm supera la soglia dello 0,9%, va segnalato sulle etichette delle confezioni. Tutte regole scrupolosamente seguite dal Consorzio agrario di Cremona, la cooperativa che vende la metà dei mangimi consumati dai 110 mila bovini della provincia. Siamo nell’epicentro della zootecnia lombarda, con una filiera che va dal latte fresco al Grana Padano. La classifica del Consorzio è dunque un test interessante. Il mais è il mangime più venduto (50% di quota). Segue la farina di soia Ogm (20% di quota) e più omeno sullo stesso livello altri semi proteici come girasole e colza, la sacca di soia «Ogm free» chiude con il 10% di venduto.

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