c Dopo Copenhagen, Scalia: «Bisogna guardare al di là degli insuccessi» - 23/12/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 23/12/2009]
[Categorie: Sostenibilità ]
[Fonte: greenreport.it]
[Autore: Lucia Venturi]
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Dopo Copenhagen, Scalia: «Bisogna guardare al di là degli insuccessi»
«Credo che ci troviamo di fronte a grandi cambiamenti, ai quali bisogna guardare in una prospettiva storica»

GROSSETO. Parla di due strategie Thomas Friedman, lunedì su La Repubblica, «per affrontare il cambiamento del clima: la strategia del "Giorno della Terra" e la strategia della "Corsa alla Terra». E dice che «il summit sul clima di Copenhagen si basava sulla prima strategia» con risultati non troppo appassionanti. Mentre secondo l'editorialista americano l'approccio strategico dovrebbe essere quello della "Corsa alla terra" con gli Usa a fare da apripista.

Sostiene Friedman che «scongiurare un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico sia un problema di immane portata» e per farlo «l'unico motore sufficientemente grande da poter avere un impatto decisivo su Madre Natura è Padre Smodato: il Mercato».

Quindi «soltanto un mercato che sia improntato a regolamenti e incentivi studiati per stimolare un'innovazione massiccia in fonti energetiche pulite senza emissioni potrà fare la differenza sul riscaldamento globale. E nessun mercato potrà farlo meglio di quello americano».

Una idea che Massimo Scalia (Nella foto), cui abbiamo chiesto un parere, definisce «chiara e garbata» perché «innescare un meccanismo positivo che dovrebbe aprire con la green economy un futuro per l'economia, come indica il programma di Obama, è senz'altro interessante».

Ma aggiunge che «fa sorridere il fatto che davanti al dramma dei cambiamenti climatici Friedman scopra il mercato come rimedio all'inadeguatezza dell'affollato consesso mondiale di Copenhagen e assegni agli Usa il ruolo di guida, a partire dal piano di Obama con 160 miliardi di dollari su risparmio energetico e rinnovabili»

Perché fa sorridere?

«Perché l'idea che l'ambiente possa costituire un vincolo, meglio, un timone per orientare il mercato verso uno sviluppo sostenibile e non verso la distruzione delle risorse e la spoliazione di buona parte dell'umanità è quella da cui, da quasi 30 anni, si sono mosse le associazioni ambientaliste e le loro espressioni politiche. E per questo avanzavano la critica all'ideologia del mercato come supremo regolatore denunciandone le funeste conseguenze: ultima, solo in ordine di tempo, la crisi finanziaria che ha innescato quella devastante crisi economica che ha colpito tutto il mondo. Insomma, una visione nuova e diversa da quella liberista ma anche da quella marxiana tutta incentrata sul binomio capitale - lavoro salariato. Oggi questa idea è molto ben rappresentata politicamente dai verdi tedeschi e francesi, anche riguardo ai ceti sociali e alle culture che aggregano».

Il mercato quindi va orientato perché da solo, appunto, ha dimostrato di portarci verso il baratro

«Certo, ma nella consapevolezza che, per dirla con Giorgio Ruffolo, "il capitalismo ha i secoli contati". Non è una prospettiva di resa, al contrario si tratta di affinare e arricchire gli strumenti della lotta affinché il mercato possa essere orientato e piegato alle esigenze dell'ambiente. Talvolta ci si riesce, e questo diventa tanto più vero quando le conseguenze degli impatti su tutta la biosfera sono evidenti e drammatici, come adesso».

Il problema è che- anche da quanto è emerso da Copenhagen- questa governance in grado di orientare il mercato sembra difficile da raggiungere

«E' vero, c'è la necessità di una governance a livello globale. E sembra lontana. Però bisogna anche guardare al di là degli insuccessi, e il collegamento energia - cambiamenti climatici sembra essere, per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, un terreno su cui si prenderanno decisioni efficaci. Non lo è stato, purtroppo, il dramma della pace e della guerra, con tutte le tragedie umanitarie conseguenti, dai genocidi al problema dei rifugiati o dei bambini soldato e via elencando».

Ma intanto quelle decisioni a Copenhagen non si sono prese

«Sì, ma chi avrebbe mai detto solo due anni fa che il 2020 sarebbe diventano il benchmarking per le decisioni sul clima e che l'asticella sarebbe stata messa dall'Unione europea con quella data e con i suoi obiettivi vincolanti? Quella strategia è stata decisiva, come è evidente che Copenhagen ha sancito l'inizio di un duopolio Usa e Cina che si sta allargando su tutte le decisioni che contano. Chi l'avrebbe detto che saremmo arrivati ad avere due potenze che cercano di dialogare tra di loro proprio su questo, con un dialogo che può essere molto significativo? Due anni fa non era immaginabile che il presidente Usa partecipasse ad una conferenza delle parti con l'intenzione di trovare un accordo. Insomma credo che ci troviamo di fronte a grandi cambiamenti, ai quali bisogna guardare non solo con l'occhio, insoddisfatto, dei movimenti e delle associazioni, ma anche in una prospettiva più profonda, storica. Anche se , lo sappiamo tutti, è rimasto poco tempo per agire».

Quindi lei dice che si è avviato un percorso che avrà senza dubbio conseguenze significative?

«L'ambiente si è rivelato come un timone che può indurre l'economia a un cambio di passo e può definire l'orientamento del mercato, questo è un primo punto. C'è poi l'altro elemento costituito dal nuovo "condominio" del mondo rappresentato da Usa e Cina. Questo duopolio può far ben sperare, se questa ruota comincia a far girare un mercato orientato verso la sostenibilità potrà cominciare a camminare anche il carro della governance di un nuovo modello di sviluppo.

Il terzo punto è la sensazione che l'umanità si trovi oggi di fronte a uno scenario come poteva essere quello del dopoguerra, quando la tremenda minaccia del fungo di Hiroshima stimolò le Nazioni Unite a scrivere la carta dei diritti delle persone. Per 30 anni abbiamo temuto che la specie umana, e con lei tutto il mondo, potessero essere distrutti dalla guerra nucleare, oggi non c'è questa prospettiva catastrofica ma si ha la consapevolezza che se non si fa fronte ai cambiamenti climatici la svolta della vita sul pianeta sarebbe così drastica da rubare futuro alle generazioni che seguiranno. E' necessario che si inneschi una molla forte di cambiamento perchè l'alternativa già esiste, ed è rappresentata dalle energie rinnovabili e dal risparmio energetico, su cui si può fare business. Su questo l'ambientalismo, che non è nato per fare la lotta al capitalismo ma intende correggerlo e usarlo, aveva ragione».

Quindi secondo lei perché si raggiunga una governance è necessario che parta il mercato?

« Negli ultimi 130 anni, l'era industriale, la temperatura del pianeta è salita di 0,7-0,8 gradi centigradi; accettare di stare entro un innalzamento di 2 gradi entro il 2050 significa che in soli 40 anni la temperatura aumenti circa il doppio di quanto è aumentata in 130. Non è accettabile siamo già in una fase d'instabilità climatica, anche se era la proposta di Bali, dell'IPCC. C'è poco tempo, ci vuole un'azione "immediata" e da solo il mercato non ce la fa: una governance globale da costruire nel poco tempo che c'è è una necessità. Il governo del link energia/cambiamenti climatici è nelle mani dei grandi protagonisti politici e il dialogo fra Usa e Cina è un primo importante passo, un po' più che una speranza...»

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