c In un mare di guai. Oltre la crisi della governance del mare. - 09/05/2007 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 09/05/2007]
[Categorie: Sostenibilità ]
[Fonte: Greenpeace Italia]
[Autore: Redazione Greenpeace]
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In un mare di guai. Oltre la crisi della governance del mare.
03 Maggio 2007
Che la pesca sia un'attività in crisi è quasi un luogo comune, ormai. Tre quarti delle popolazioni ittiche e delle risorse marine rinnovabili che l'uomo utilizza sono in stato di grave sofferenza. E l'acquacoltura non è di certo una soluzione perchè i pesci allevati mangiano altri pesci.

Il "colpevole" della situazione è la "sovra-capitalizzazione": troppi soldi sono stati investiti in navi, reti e mercati sempre più grandi per lo sfruttamento delle risorse del mare. Le conseguenze sul piano ambientale e sociale sono gravi. La pesca eccessiva non distrugge solo le specie ittiche di interesse commerciale. Molti sistemi di pesca poco selettivi. E le "catture accessorie" – termine asettico che certifica l'insana distruzione degli ecosistemi marini - rappresentano a volte la maggioranza di quello che reti, ami e altri sistemi portano a bordo dei pescherecci.

Per restare a un famoso caso italiano - quello delle spadare - solo il 18 per cento del pescato è costituito dalla specie bersaglio, il pesce spada. Il resto viene rigettato morto in mare. Le scie di gabbiani che vediamo seguire i pescherecci, al rientro in porto, lo testimoniano.

Le conseguenze della distruzione delle risorse marine non sono solo di tipo ambientale. Le comunità umane che da tempo, anche da millenni, si sostenevano grazie a una lunga e sapiente pratica di gestione delle risorse marine, sono ormai disgregate. La pesca è sempre meno una questione di piccole comunità di pescatore e sempre più un affare da grossi gruppi industriali, con elevata disponibilità di capitali.

È sintomatico della nostra era che non si riescano a combattere nemmeno le pratiche più rischiose, anche se sono state dichiarate fuori legge. Anni di discussione sulla pesca pirata hanno solo prodotto un'altra denominazione asettica (IUU: Illegal, Unregulated and Unreported, cioè pesca illegale, non regolamentata o non riferita) e poco altro. C'è un problema politico di fondo: una governance impotente di fronte agli interessi economici, a livello nazionale, regionale e globale, che ha innescato la più grande razzia in scala planetaria.

La pesca industrializzata oggi sta in piedi grazie ai sussidi pubblici che sono stimati almeno a 30/34 miliardi di dollari l'anno. Gli interventi pubblici - orientati correttamente - possono tuttavia orientare le attività della pesca verso pratiche meno pericolose: sono state redatte delle tabelle che distinguono tra sussidi "pericolosi, neutri e positivi". Quelli pericolosi, purtroppo, continuano a imperversare in particolare nella regione del Mediterraneo.

Greenpeace propone modelli differenti di gestione delle risorse ittiche e, in generale, del mare. Sono modelli riconosciuti anche nel diritto degli stati e delle istituzioni internazionali. Principio precauzionale, approccio ecosistemico, reti di riserve marine non appartengono solo al linguaggio degli ambientalisti. Sono scritte anche negli impegni che gli stati si assumono a parole, continuando poi a rinviare le scadenze e ad annacquare gli obiettivi concordati. Quanto siamo vicini al punto di non ritorno? La crisi della governance degli oceani non è uno scherzo: senza una svolta decisiva, in grado di tutelare davvero le risorse, per il nostro mare non ci sarà futuro.

Il rapporto in versione integrale
La sintesi dei temi del rapporto
La scheda sulle recenti osservazioni di spadare

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