DIRITTO BELLICO INTERNAZIONALE CLASSICO
Il diritto classico non pretende né di formulare criteri (il compito e le responsabilità
sono rimesse alla sfera della politica, della filosofia e della religione) che permettano
di giudicare se una guerra sia "giusta" o "ingiusta", né (il compito
e le responsabilità della valutazione sono rimesse alla sfera della politica -inclusa
quella economica- , della filosofia, della sociologia e dell'antropologia culturale) di
stabilire quando una guerra sia "lecita" o "illecita".
Errata è, infatti, come scrive R. Monaco, l'opinione diffusa che, distinguendo le guerre
in giuste e ingiuste, ritiene lecite solo le prime. Essa deriva solo da una errata
interpretazione dei testi di Grozio e De Vattel (fondatori del diritto bellico) che invero
affermano che la guerra è sempre lecita secondo il diritto positivo, indipendentemente
dalle cause per cui è stata mossa.
Il diritto bellico si limita a constatare che -pur sotto le forme, nei modi, per le
ragioni e con le giustificazioni più diverse- la specie umana ha da sempre, finora,
ricorso molto spesso alla guerra per risolvere in modo cruento i contrasti tra le
comunità umane.
Partendo da questa premessa, e nell'eventualità che nell'immediato futuro l'evoluzione
politico-culturale-religiosa della comunità umana non possa giungere ad escludere il
ricorso alla guerra nella risoluzione delle relazioni internazionali tra gli stati, il
diritto bellico classico si limita a proporsi di regolamentare la guerra per contenerne le
conseguenze.
Occorre anche notare che non si ha guerra se l'intenzione che accompagna
l'attività ostile non consiste in uno speciale "animus bellandi"
(accertata volontà di una delle parti di muovere guerra all'altra, desumibile -anche in
via preventiva- da una serie di atti inequivoci di violenza militare): uno stesso atto
ostile (ad es. un bombardamento) può essere guerra o meno secondo che sia condotto o meno
con animus bellandi. E' la volontà di fare la guerra che provoca lo stato di guerra e
l'applicazione delle norme belliche.
(la Nato nega di star facendo una guerra perché ha iniziato le operazioni senza
animus bellandi, nel senso che ne avrebbe volentieri fatto a meno !)
Per l'esistenza della guerra occorre che chi vi prende parte abbia una personalità
internazionale: chi non ha questa personalità non può pretendere di regolare con le
norme apposite del diritto bellico gli atti ostili.
Lo stato che muove guerra deve inoltre essere uno "stato sovrano":
uno stato "protetto" (un protettorato) o uno legato a una federazione non può
autonomamente dichiarare guerra.
Il diritto internazionale regola i principali aspetti del fenomeno bellico, cioè il
diritto di muover guerra contro un altro stato e le norme che regolano i rapporti tra i
belligeranti.
Questi aspetti sono tuttora essenzialmente codificati dalla "normativa classica di
diritto bellico", che risale alle convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907, nelle
quali si assume il principio che le relazioni giuridiche tra belligeranti siano
necessariamente diverse da quelle che vigono in tempo di pace.
Le guerre degli ultimi secoli rientrano, essenzialmente, in due categorie: le "guerre
totali", nelle quali viene coinvolta anche tutta la popolazione civile, e le guerre
nelle quali si opera una distinzione sia tra combattenti e civili, sia tra teatro delle
operazioni belliche e "territorio pacifico" dei belligeranti.
Il diritto bellico classico si occupa essenzialmente solo di questo secondo tipo di
guerra, sforzandosi di imporre ai belligeranti un comportamento regolato da norme che
(come in sport violenti quali la boxe) stabiliscono quali siano le azioni permesse e quali
quelle proibite.
Lo stile quasi "sportivo" dell'approccio classico alla condotta della guerra
-che si presuppone pertanto sempre formalmente "dichiarata"- risente
dell'influenza di almeno tre fattori:
- il fatto che in passato -perlomeno fino alla prima guerra mondiale, ma di fatto
(nonostante l'istituzione della "Società delle Nazioni") fino alla seconda- il
ricorso alla guerra fosse considerato (anche a livello filosofico) come una modalità
lecita e normale, benché estrema, di regolare i rapporti politici tra gli stati
("proseguimento della politica con altri mezzi"),
- il fatto che le guerre fossero "di posizione" e che quindi le operazioni
belliche fossero confinate entro le linee del "fronte", distinte dal territorio
"pacifico",
- il fatto che le guerre fossero essenzialmente condotte da eserciti regolari.
Le novità apportate dalla condotta delle operazioni nella seconda guerra mondiale
(bombardamenti a tappeto consentiti dallo sviluppo dell'aeronautica e della missilistica,
inizio -con la bomba atomica- dell'impiego delle "armi di distruzione di massa",
comparsa tra i belligeranti di corpi "irregolari" quali i partigiani) e in
quelle successive (guerre di guerriglia e di liberazione), nonché il fatto che diversi
paesi (soprattutto europei) abbiano -nelle loro costituzioni- rinunciato al ricorso alla
guerra nella risoluzione dei problemi internazionali, hanno reso piuttosto problematico
per il diritto internazionale adeguare le norme del diritto bellico alla realtà delle
guerre e dei conflitti avvenuti negli ultimi decenni.
Ciò nonostante, la normativa classica -tuttora in vigore- conferisce a tutti gli stati il
diritto di dichiarare e muovere guerra:
- per tutelare un proprio diritto soggettivo (per es. per difendere prerogative di
sovranità violate da un altro stato);
- per far valere un mero interesse (quale quello dell'espansione territoriale).
GUERRE INTERNAZIONALI E GUERRE CIVILI
Il diritto classico opera una netta dicotomia tra la normativa delle "guerre
interne" (o civili) e delle "guerre internazionali"
(cioè tra stati).
GUERRE INTERNE
Le guerre interne sono di esclusiva pertinenza dello stato nel cui
territorio sono scoppiate, che è essenzialmente libero di reprimere come meglio crede la
ribellione, con l'unico limite di alcuni generali principi di diritto umanitario (divieto
di trattamenti disumani, quali la tortura).
In queste circostanze, gli altri stati possono prestare assistenza solo al governo
legittimo; è invece loro vietato aiutare i ribelli.
GUERRE INTERNAZIONALI
Sono i conflitti militari tra stati, che vanno formalmente dichiarati con la "dichiarazione
di guerra" al nemico, mentre l'inizio dello stato di guerra va comunicata
per via diplomatica agli altri stati perché possano prendere le loro risoluzioni.
La dichiarazione di guerra può essere:
- "semplice" se lo stato dichiara la semplice volontà di muovere guerra,
- "condizionata" se sotto forma di ultimatum, intimazione
solenne mediante la quale lo stato intimante invita lo stato intimato ad accogliere le
richieste in essa contenute entro un termine prefissato,
- "implicita", conseguente ad atti idonei di ostilità contenenti
chiaramente la volontà di far sorgere lo stato di guerra.
(Sotto questo aspetto, pare difficile negare che quella della Nato in Jugoslavia sia,
anche formalmente una guerra: pur senza aver inizialmente manifestato l'animus
bellandi che mostra oggi, la Nato ha posto alla Jugoslavia un ultimatum
notificato ampiamente e con largo anticipo a tutta la comunità internazionale, nel quale
si preannunciavano anche i dettagli dell'operazione militare progettata in caso di mancata
ratifica degli accordi di Rambouillet)
In seguito alla dichiarazione di guerra, gli altri stati devono prendere posizione
decidendo (dichiararlo non è necessario), a loro volta, se intendono intervenire nel
conflitto come "alleati" dell'uno o dell'altro con conseguente obbligo di
dichiarazione di guerra, o se intendono restare "neutrali" (il che
comporta una presa di distanza patente dai belligeranti, che in passato non comportava
implicazioni, ma che nella realtà attuale di coinvolgimento negli interessi commisti
della mondializzazione suona come dissidenza o disapprovazione patente !).
Dichiarata la guerra, lo stato decreta l'entrata in vigore della "legge di
guerra" al suo interno, che in varia misura comporta restrizioni delle
libertà e dei diritti goduti in tempo di pace dai cittadini.
CIVILI E LEGITTIMI COMBATTENTI
Il diritto internazionale fa una netta distinzione tra "civili" e
"combattenti":
- "civili", che non devono prendere parte alle ostilità,
devono essere protetti dagli effetti della guerra;
- "legittimi combattenti", che sono autorizzati a
partecipare alle ostilità comprendono:
gli eserciti regolari,
le milizie e i corpi volontari, formazioni armate, inquadrate e soggette
alla disciplina militare, riconosciute e costituite dallo Stato o inquadrate nell'esercito
regolare,a condizione che questi presentino 4 requisiti: siano comandati da una persona
responsabile per i suoi subordinati; portino un segno distintivo fisso, riconoscibile a
distanza; portino le armi apertamente; conducano le operazioni belliche in conformità
alle leggi e agli usi della guerra;
la levata di massa, cioè la popolazione di un territorio non occupato
che insorge e si oppone con le armi all'invasore e che non ha avuto il tempo di darsi
preventivamente un'organizzazione conforme al diritto internazionale;
i movimenti di resistenza, i cui elementi - a differenza delle milizie
volontarie - agiscono nei territori già occupati.
Solo i legittimi combattenti hanno diritto, se catturati, al trattamento di
"prigionieri di guerra"; tutti gli altri, se catturati, vengono sottoposti alla
legge marziale.
ESERCIZIO LEGITTIMO DELLA VIOLENZA BELLICA
Il diritto classico contiene poche norme (di fatto poi regolate dalla "legge del più
forte") che pongono limiti ai mezzi e metodi della violenza bellica.
- armi vietate: quelle avvelenate o che causano sofferenze inutili
e quelle bandite dalle convenzioni internazionali (convenzioni sulle armi chimiche,
biologiche ecc.);
- metodi bellici vietati: è vietato uccidere o ferire
"perfidamente" il nemico; uccidere o ferire l'avversario che abbia deposto le
armi; dichiarare che "non si darà quartiere" (che si ucciderà tutti i nemici,
senza fare prigionieri; darsi al saccheggio; attaccare o colpire, in caso di assedi o
bombardamenti, edifici dedicati alla religione, all'arte, alla scienza o a fini
caritatevoli; monumenti storici, ospedali, località dove vengono raccolti feriti e
malati.
Le azioni di rappresaglia bellica (azioni altrimenti vietate, come l'uso
di armi proibite o il bombardamento di monumenti storici, ecc.) sono consentite solo a
titolo di reazione a un altrui illecito.
I combattenti nemici colpevoli di violazioni gravi del diritto bellico sono passibili di
"processo per crimini di guerra".
I danni illecitamente arrecati devono essere oggetto di riparazione al
termine della guerra.
ADEGUAMENTO DEL DIRITTO BELLICO ALLA REALTA' ATTUALE
Il processo di adeguamento del diritto bellico alle nuove esigenze delle guerre moderne è
iniziato dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto su iniziativa del Comitato
internazionale della Croce Rossa.
Nelle guerre moderne, tutto l'apparato industriale dello stato partecipa allo sforzo
bellico; categorie sempre più vaste (partigiani, guerriglieri) prendono parte alle
ostilità; i mezzi bellici sono sempre più sofisticati; la guerra, che non è più
"di posizione", ma è caratterizzata da operazioni su vasta scala che coordinano
unità autonome dotate di grande mobilità, coinvolge tutto il territorio dei belligeranti
e tutta la popolazione civile (nella guerra del 15-18, ancora "di posizione", l'
80% delle vittime furono militari e solo il 20% civili; nella seconda guerra mondiale,
già "di movimento", solo il 20% delle vittime furono militari, contro l'80% di
civili).
Dal punto di vista del diritto classico si tratta dunque di: prendere atto che la guerra
moderna non contempla l'esistenza dei "territori pacifici"; aggiornare la
classificazione delle armi e dei metodi bellici vietati, nonché quella delle categorie
dei "legittimi combattenti" e istituire organi o enti internazionali capaci di
sorvegliare l'osservanza delle norme di diritto bellico, prevenendone o reprimendone le
violazioni.
Parallelamente, nel dopoguerra si sono venute manifestando alcune tendenze di fondo, la
più importante delle quali è la formale rinuncia all'uso della guerra e alla sua
concezione di "proseguimento della politica".
Il senso di orrore e di riprovazione morale suscitato nell'opinione pubblica
internazionale dalle due guerre mondiali ha indotto i parlamenti degli stati a bandire
formalmente la guerra.
Così, attualmente, lo statuto delle Nazioni Unite proibisce a ogni stato di usare la
forza, in particolare di muover guerra ad altri stati, impegnandolo a sottoporre al
Consiglio di Sicurezza la conciliazione di eventuali vertenze con altri stati.
Solo due eccezioni sono consentite: le guerre di legittima difesa (per respingere un
attacco altrui) e le guerre contro uno stato aggressore, purchè condotte sotto l'egida
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Gli interventi armati delle forze di polizia internazionale delle Nazioni Unite
contro uno stato terzo aggressore sono vere e proprie guerre
internazionali, precedute da "ultimatum" e ufficialmente riconosciute come tali
dal diritto internazionale. In tali guerre, solo gli stati che hanno fornito contingenti
militari per l'intervento dell'Onu sono considerati "belligeranti";
quelli che non lo fanno sono a tutti gli effetti considerati "neutrali".
Questi encomiabili atti ufficiali e l'istituzione dell'Onu non hanno, però, per nulla
esorcizzato la guerra: negli ultimi decenni gli stati hanno continuato a farla come e più
di prima, senza ricorrere al Consiglio di Sicurezza, aggirando con un escamotage di stampo
formalistico i divieti e le rinunce ufficiali al ricorso alla guerra.
L'escamotage, che è di un' ipocrisia abissale, è semplicissimo: dato
che per il diritto internazionale la "guerra" è tale se viene dichiarata, basta
farla senza dichiararla formalmente o negando di essere mossi da animus bellandi, il che
-per molti stati, tra i quali l'Italia- evita sia problemi di incompatibilità con il
dettato costituzionale, sia l'obbligo di ottenere l'approvazione delle Camere.
E la si fa non chiamandola "guerra", termine che per il diritto internazionale
ha un significato ben preciso (il termine è bandito dai comunicati Nato; il 20 maggio
Blair, cui era sfuggito il lapsus di chiamarla "guerra" davanti ai giornalisti,
ha dovuto diramare un comunicato nel quale precisava che non si tratta di guerra, bensì
di un "conflitto internazionale armato") e che nel vissuto collettivo evoca i
ricordi di immani tragedie, ma dandole nomi di fantasia, come "intervento
umanitario" che la rivestano di nobili motivazioni o denominazioni esaltanti
("Desert Storm", "Madre di tutte le guerre") capaci di abbagliare la
fantasia popolare con miraggi di pronte e sfolgoranti vittorie o di epiche imprese.
Dopo la seconda guerra mondiale, si è così venuta creando una nuova categoria di
conflitti armati internazionali, che potremmo chiamare "guerre in
libertà": conflitti che sono sostanzialmente guerre, ma che non vengono
qualificati tali da nessuno dei belligeranti.
Solo due, infatti, sono stati -dal 1945 in poi- i conflitti ufficialmente dichiarati: la
guerra arabo-israeliana del 1948 e la guerra indo-pakistana del 1965.
Tale comportamento, apparentemente paradossale, è in realtà motivato anche da almeno tre
ragioni, che hanno un peso determinante nelle decisioni dei governi.
Se il governo non dichiara formalmente la guerra,
- evita di dover ottemperare ai divieti imposti e di dover sottostare ai controlli
internazionali previsti (vedi più avanti) dal nuovo diritto bellico,
- evita di dover affrontare eventuali problemi di natura costituzionale (nel caso
del Vietnam, gli Usa preferirono non affermare esplicitamente di essere in guerra per
evitare problemi di ordine giuridico interno; lo stesso hanno fatto i governi italiano e
francese nell'attuale guerra contro la Jugoslavia);
- gli altri stati non sono costretti a prendere a loro volta posizione ufficiale: si
evita così da un lato l'allargamento del conflitto a eventuali stati cobelligeranti,
dall'altro che gli altri stati si dichiarino neutrali, cosa quest'ultima
che avrebbe (vedi nota in appendice) pesanti riflessi sia sul sistema delle relazioni
internazionali (interruzione dei rapporti amichevoli tra belligeranti e neutrali), sia sul
sistema del commercio internazionale dell'enorme varietà di manufatti e di materiali che
rivestono un qualche interesse per l'apparato bellico o militare.
Un altro importante problema di adeguamento del diritto bellico è derivato dal fatto che
la comparsa delle "guerre di liberazione nazionale" ha fatto
venir meno la consistenza della dicotomia classica fra "guerre internazionali" e
"guerre civili", distinzione che attribuiva agli stati l'assoluta libertà di
reprimere, senza alcuna ingerenza esterna, le insurrezioni interne.
Il problema è stato risolto nel 1974 dalla "Conferenza diplomatica di
Ginevra sul diritto umanitario", che ha equiparato le guerre di
liberazione nazionale alle guerre tra stati, ristabilendo in qualche modo la
precedente dicotomia tra guerre internazionali e guerre civili.
Per le guerre civili si è parallelamente cercato di ampliare e
perfezionare le poche disposizioni contenute al riguardo nell' art. 3 comune alle
"Convenzioni di Ginevra" del 1949, ponendo maggiori limiti all'uso della
violenza sia da parte dei ribelli, sia da parte del governo "legittimo".
E' poi in corso di ampliamento la categoria dei "legittimi combattenti":
le convenzioni di Ginevra del 1949 vi hanno aggiunto quella dei "partigiani"
e attualmente si tenta di includervi anche quelle dei "guerriglieri"
e delle "truppe irregolari".
Si cerca inoltre di assicurare maggiore protezione ai civili,
- vietando gli attacchi indiscriminati (bombardamenti a tappeto, ecc.) - il
che ha costretto gli stati, come gli Usa, che non intendono rinunciare alla guerra a
sviluppare le "bombe intelligenti" e il concetto di "guerra
chirurgica" (guerra che pretende di ridurre a "effetti
collaterali" le conseguenze sulla popolazione civile). (sotto questo aspetto,
appare evidente che Desert Storm, Desert Fox e l'attuale guerra in Jugoslavia sono state,
per l'industria americana degli armamenti, altrettante "mostre mercato" per
esibire agli eventuali acquirenti la panoplia delle nuove armi, "lecite" ai
sensi del nuovo diritto bellico internazionale !) -
- proibendo mezzi bellici crudeli e disumani (come la guerra batteriologica,
ecologica, le armi incendiarie, ecc. -giustificazione addotta dagli Usa per
enfatizzare l'attività degli ispettori Unscom in Iraq, per legittimare l'operazione
"desert Fox e per la prosecuzione ad oltranza dell'embargo"- .
Si sta inoltre cercando di perfezionare i mezzi di garanzia del diritto bellico,
- introducendo varie restrizioni all'uso delle rappresaglie
belliche,
- ampliando il campo della responsabilità individuale dei singoli combattenti,
- e affidando compiti di controllo sul rispetto del diritto bellico
alle "potenze protettrici", cioè a stati neutrali designati da
ogni stato che prende parte al conflitto, con l'assenso della controparte o, in mancanza
di tali potenze, al Comitato internazionale della Croce Rossa o ad altri
organismi umanitari imparziali,
- istituendo il Tribunale internazionale per i Crimini di Guerra (istituzione creata
nel 1998, la cui autorità e competenza è tuttora oggetto di un vivace contenzioso
diplomatico tra gli stati -gli Usa, in particolare- che la vogliono confezionata a misura
dei metodi che in propri interessi e dei proprio uso e consumo e le Organizzazioni Non
Governative, portatrici del sentire della gente)
Le restrizioni imposte alla condotta bellica e l'istituzione di arbitri incaricati di
sorvegliarne il rispetto da parte dei belligeranti è, ovviamente, un altro motivo in più
che induce gli stati a condurre "guerre in libertà", cioè non dichiarate. E
che, temiamo, li indurrà a farle anche in futuro, fino a quando il diritto internazionale
non riconoscerà come "guerra" qualsiasi conflitto armato tra stati,
indipendentemente dal fatto che la guerra sia stata, o meno, ufficialmente dichiarata.
LO STATO DI NEUTRALITA'
NEUTRALITA' DI UNO STATO
L'istituto della neutralità è stato introdotto per "localizzare" il teatro
delle guerre internazionali, nel senso che:
- garantisce ai belligeranti che i rispettivi avversari non vengano aiutati
militarmente da uno stato neutrale;
- garantisce ai neutrali la possibilità di continuare a commerciare con i
belligeranti.
Anche se alcuni stati riaffermano con una "dichiarazione di neutralità" la loro
decisione di rimanere estranei al conflitto, lo stato di neutralità compete
automaticamente a tutti gli stati che non partecipano alla guerra. Gli stati
belligeranti sono i soli tenuti a comunicare agli altri, per via diplomatica, l'inizio
dello stato di guerra. Da quel momento, o comunque dal momento in cui si presuma che i
terzi siano venuti a conoscenza dello stato di guerra, ha inizio lo stato di neutralità.
La neutralità è uno stato giuridico transitorio, che ha inizio con lo stato di guerra e
che cessa con la fine dello stato di guerra o con l'entrata in guerra del neutrale e
comporta una serie di obblighi e di diritti:
Dopo la prima e la seconda guerra mondiale, la neutralità ha assunto nuovi caratteri con
il sorgere di organizzazioni internazionali politiche come la Società delle Nazioni e
l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Quest'ultima, nel proprio statuto impone agli stati
membri l'obbligo di fornire contingenti militari per azioni collettive di prevenzione e di
repressione della guerra.
Tali obblighi sembrano incompatibili con la condizione di stato neutrale.
Questa contraddizione è stata risolta, soprattutto dopo la guerra di Corea (1950-53),
riconoscendo lo stato di neutralità anche agli stati associati alle Nazioni Unite
che non mettono contingenti militari a disposizione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
La possibilità di dichiararsi neutrali è esclusa, ai sensi dei trattati di alleanza, per
gli stati membri delle alleanze militari difensive (come la Nato o la Seato) nel caso che
uno dei membri sia aggredito.
Uno stato può essere in guerra con il proprio avversario, ma non prendere parte al
conflitto che i suoi alleati nel conflitto conducono, contemporaneamente, contro un altro
stato. Tale fu, per es. il caso della Russia, che durante la seconda guerra mondiale, dal
1942 al 1945 mantenne un "Rapporto di neutralità" con il
Giappone.
OBBLIGHI
Lo stato neutrale deve:
- astenersi dal prestare assistenza finanziaria e militare ai belligeranti,
- impedire che il suo territorio venga utilizzato dai belligeranti per svolgervi
operazioni militari o paramilitari, istituirvi uffici di reclutamento o di informazioni,
- vietare il passaggio di materiale bellico o di truppe,
- tollerare che le navi battenti la sua bandiera vengano confiscate o distrutte se
tentano di forzare un "blocco navale" e che vengano visitate da quelle da guerra
dei belligeranti per accertarsi che non trasportino materiale bellico o utile alla
condotta della guerra ("merci di contrabbando") nei porti nemici , nel qual caso
i belligeranti possono confiscare le merci,
- tollerare che i belligeranti collochino mine in zone di transito.
Questi obblighi non sono sempre rigorosamente rispettati dai paesi neutrali, il che ha
portato a introdurre i concetti di neutralità "benevola" o "non
benevola". Si tratta di una distinzione di natura esclusivamente politica
(che non ha -salvo violazioni patenti del formale rispetto degli obblighi- alcun riflesso
sulla condizione giuridica del neutrale) per indicare il comportamento di taluni stati i
quali, pur formalmente rispettando le obbligazioni imposte ai neutrali dal diritto
internazionale, per il resto cercano in ogni modo di favorire una delle due parti in
lotta, in relazione a precedenti intese politiche internazionali intercorse con tale
parte, non facendo mistero di riservarsi per il futuro la decisione di intervenire
apertamente a suo fianco.
DIRITTI
Lo stato neutrale conserva i fondamentali diritti di indipendenza, di integrità
territoriale, di eguaglianza giuridica, di protezione diplomatica e così via.
I trattati collettivi conclusi per il regolamento di interessi economici, per la tutela
dei sudditi, per il miglioramento delle comunicazioni internazionali, sottoscritti
contemporaneamente da stati neutrali e belligeranti, restano in vigore anche in tempo di
guerra tra i neutrali, mentre la loro efficacia è sospesa solo tra i belligeranti.
Lo stato neutrale conserva pertanto il diritto di:
- commerciare liberamente merci non di interesse bellico (l'esecuzione dei trattati
commerciali conclusi prima della guerra con i belligeranti e che comportino la fornitura
di materiale bellico viene sospesa e riprenderà a guerra finita) con qualunque
belligerante, di fornir loro per scopi di pace le proprie navi e aeromobili e rifornirli
di materiale sanitario, ma deve farlo "in modo imparziale",
senza favorire alcuna delle parti,
- I cittadini degli stati neutrali possono invece fornire, ma a loro rischio e
pericolo, merci militari e denaro ai belligeranti (nel qual caso, il neutrale deve
consentire che il contrabbando venga imparzialmente svolto a favore di entrambe le parti
in lotta),
- sequestrare il materiale bellico introdotto sul suo territorio dai belligeranti o
da società o persone che commerciano con loro,
- dare asilo ai civili dei belligeranti (inclusi i loro beni e eventuali mezzi di
comunicazione), ai prigionieri fuggiti alla detenzione del nemico che acquistano
"ipso facto" la piena libertà e il diritto di rientrare in patria. Asilo può
essere concesso anche ai soldati e corpi militari in fuga, disarmandoli e
"concentrandoli" in località lontane dalla zona delle operazioni per prevenirne
il rimpatrio, che si caratterizzerebbe come favoreggiamento di una delle parti in lotta,
- può ospitare i feriti e i malati dei belligeranti e ammetterne, senza limiti di
tempo, il soggiorno delle loro navi mercantili,
- può concedere asilo alle navi da guerra in difficoltà per il tempo strettamente
indispensabile alla riparazione dello scafo, ma non per il ripristino della loro
efficienza bellica. Superata la scadenza, il neutrale procede al sequestro della nave e
all'internamento dell'equipaggio (secondo la legge italiana di guerra, una volta riparato
lo scafo, la nave da guerra deve lasciare le acque territoriali italiane entro 24 ore),
- ai sensi della IV Convenzione di Ginevra del 12-VIII-1949 sulla protezione della
popolazione civile in tempo di guerra, i neutrali possono assumere la cura degli interessi
e la protezione dei cittadini di una delle due parti in conflitto nei confronti dell'altra
per mezzo dei loro agenti diplomatici e consolari. In tal caso assumono la qualifica di "potenze
protettrici",
- su designazione delle parti in conflitto, le "potenze protettrici"
possono essere deputate a sorvegliare e verificare -congiuntamente con il Comitato
internazionale delle Croce Rossa- il rispetto del diritto bellico da parte delle parti in
conflitto (in caso contrario il diritto bellico attuale delega tale compito al solo
Comitato).
PRATICABILITA' ATTUALE DELLA NEUTRALITA'
Attualmente l'istituto della neutralità si confronta con gravi difficoltà per una serie
di ragioni:
- le guerre non vengono più "dichiarate",
- nelle guerre "generalizzate", per esigenze strategiche, i belligeranti
tendono a non rispettarla: nelle due guerre mondiali i tedeschi hanno violato la
neutralità di stati come Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Belgio occupandoli (la
neutralità attuale di Albania e Macedonia risulterebbe ufficialmente violata dalla Nato,
che vi sta accatastando contingenti militari, se il Consiglio di Sicurezza ne avallasse
l'intervento -configurandolo come "guerra internazionale" e i due stati non
accettassero di divenire belligeranti),
- il concetto di "sicurezza collettiva" su cui si basa
tutto il sistema delle Nazioni Unite è tendenzialmente incompatibile con una posizione di
"indifferenza" rispetto a conflitti armati che minaccino o violino la pace e la
sicurezza internazionali,
- la creazione -a partire dal 1949- dei "sistemi di sicurezza
regionale" (Nato, Patto di Varsavia, Osa, Seato, Nanzus, ecc.) comporta che gli
stati che ne fanno parte rinuncino a invocare, per il futuro, il diritto a rimanere
neutrali e assumano l'obbligo di assistere l'alleanza.
"NEUTRALIZZAZIONE" O " NEUTRALITA' PERMANENTE
" DI UNO STATO
E' la condizione di stati che, in virtù di accordi internazionali, assumono -già
in tempo di pace- l'obbligo di non muovere guerra e, nel caso di guerra, di
rimanere neutrali.
Tale condizione dà il diritto di veder rispettata in ogni caso la propria neutralità.
La "neutralizzazione" può interessare tanto un territorio (per es. una
Regione o un'isola) di uno stato quanto tutto uno stato: lo
sono, per esempio, l'isola di Pantelleria, quelle di Spitzbergen, la
Svizzera, la Città del Vaticano, e (dal 1955) l'Austria.
LE VARIE FORME DELLA NEUTRALIZZAZIONE
- NEUTRALIZZAZIONE DI UN TERRITORIO
Ha la funzione di escludere un territorio dagli effetti degli orrori della guerra,
sanzionandone ufficialmente lo status di "territorio pacifico e inviolabile,
anche in caso di belligeranza dello stato del quale fa parte".
Sorge in seguito a un accordo tra alcuni stati (tenuti ad osservarne il rispetto) e il
sovrano del territorio stesso.
Su di esso non devono più venir mantenute installazioni militari, fabbriche di materiali
da guerra o fortificazioni, né tollerate manovre militari ecc. .
Neutralizzate sono, per esempio, le isole Spitzbergen , sotto la sovranità norvrgese e
l'isola italiana di Pantelleria (in seguito al trattato di pace del 1947).
La neutralizzazione di un territorio non si estingue con il mutare del sovrano
territoriale.
- NEUTRALIZZAZIONE DI UNO STATO
La neutralizzazione di uno stato (o "neutralizzazione permanente")
si ha quando tale stato si impegna nei confronti di più stati (di solito quelli
circostanti):
- ad astenersi per l'avvenire dall'entrare in qualsiasi guerra, tranne che nel caso
di invasione del proprio territorio o di legittima difesa,
- a non consentire sul suo territorio l'installazione di fabbriche di materiali da
guerra, né operazioni militari di terzi stati.
- a non entrare in unioni politiche che impongano, come l'Onu o la Nato,
obbligazioni di natura militare.
Gli altri stati contraenti si impegnano dal canto loro a "garantire" lo stato
neutralizzato, cioè a proteggerlo in caso di aggressione.
Stati neutralizzati sono, tra gli altri, la Svizzera e la Città del Vaticano.
- NEUTRALIZZAZIONE COSTITUZIONALE DI UNO STATO
La neutralizzazione "costituzionale", che è affine a quella
"permanente", non si basa su un accordo internazionale, bensì sulla legge
fondamentale di uno stato, che fa divieto -già in tempo di pace- agli organi
costituzionali dello stato di aderire a alleanze politiche o militari e che dichiara la
volontà dello stato di rimanere in ogni caso estraneo a qualsiasi conflitto futuro.
Tale dichiarazione è rivolta a tutti gli stati indistintamente, può venir revocata senza
ledere gli interessi di alcuno e comporta, rispetto alla neutralizzazione permanente,
minori restrizioni alla libertà di azione dello stato che l'ha emessa.
L'Austria ha scelto, dal 1955 (nel pieno della "guerra fredda"), di assumere
questo status.
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